Anche l’usignolo sa che la nostra vita e le campagne sono cambiate

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<<…Il restauro conservativo suscitava il ricordo di chi prima vi aveva vissuto…>> La corte della Forestina, con la Casa del Fattore sulla destra © Martina Corbetta, 2020

Consiglio la lettura del bel libro di Niccolò Reverdini (Milano, 1965), Anche l’usignolovita di città, di bosco e di campagna (Mondadori-2021) un romanzo-saggio, o viceversa (decida il lettore come definirlo) dedicato alla sua esperienza di imprenditore agricolo sui terreni di famiglia alle porte di Milano. Avevo conosciuto l’autore attraverso la mia collaborazione con l’associazione a cui aderisce e sapevo che era pronipote dello scrittore e diplomatico Carlo Pisani Dossi (1849-1910); che era stato allievo del critico letterario Dante Isella e che aveva una profonda passione e conoscenza dei classici greci e latini, nonché della letteratura lombarda, di cui troverete ampia evidenza nel suo racconto. Ma il volume è a mio avviso importante perché rappresenta una testimonianza, sentita e appassionata, delle trasformazioni intercorse, nel giro di appena trent’anni, nelle campagne attorno a Milano e a tutte le altre grandi città, in quella che si definisce agricoltura periurbana. Un ambiente costituito da elementi naturali come la terra, il bosco, gli animali ma anche da persone, linguaggi e storie che Reverdini descrive con grande capacità.

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Nel bosco di Dacia Manto animali e piante agiscono su di noi

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Dacia Manto-Nebulosa#16-Red Lab Gallery-2021

Walden, il bosco in cui il filosofo Henri David Thoreau (1817-1862), si ritirò a vivere per 26 mesi quando aveva ventotto anni, per sottrarsi allo stile di vita dei propri concittadini di Concord, è un luogo sempre attuale e ricorrente nella trattazione artistica che ne è seguita. Non stupisce quindi che Dacia Manto (Milano, 1973), che si ispira a Thoreau e che già nel 2008, a Ravenna, gli aveva dedicato una installazione e una performance, abbia voluto, in un certo qual modo, ricrearlo a Milano, alla galleria Red Lab diretta da Lucia Pezzulla. Entrati ci si trova in una piccola stanza in cui alle pareti scure sono appesi i lavori realizzati dall’artista su vari materiali, con diverse tecniche e di differenti dimensioni. Sedendovi sulla panca posta al centro della stanza, vi troverete immersi in un bosco da cui potrete osservare non immagini separate ma un panorama unico e coerente, formato da una ricca e fitta vegetazione in cui vivono animali e in cui in lontananza scorgiamo un lago e talvolta intravediamo una figura umana. Avvertiamo un senso di pace, di tranquillità, il luogo non ci spaventa, ci troviamo in quella che l’artista definisce “una tana, uno spazio chiuso e sicuro” ma anche un caleidoscopio della natura. La mostra si intitola Nebulosa 11, beside Walden e prende il nome da Nebula, la lupa dell’artista morta da poco.

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WeTree: donne, scienza e arte per la salute circolare

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weTree-Torino-Il bosco delle artiste -Progetto Studio Linee Verdi di Stefania Naretto e Chiara Bruno Otella-Grafica Sara Lamon

Nel corso del primo anno della pandemia da Covid-19 uno dei fenomeni più sottolineati dai commentatori era che mentre il mondo degli esseri umani rallentava, quello dei vegetali proseguiva la sua vita normale, occupando degli ulteriori spazi. Eppure, anche le piante si ammalano e non sempre per colpa dell’uomo. Secondo la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ogni anno insetti fitofagi e patogeni vegetali sono responsabili della perdita del 40% delle colture alimentari. Il 2020 era anche l’anno della Salute delle Piante, indetto per l’appunto dalla FAO che in Italia è stato celebrato da Plant Health, il festival organizzato da Agrinnova, un centro di competenza dell’Università di Torino, diretto da Maria Lodovica Gullino, docente di patologia vegetale nello stesso ateneo. L’evento, a causa della pandemia, prosegue anche nel 2021 e ad esso si è aggiunto weTree, un progetto per la promozione di aree verdi nelle città dedicate alle donne, a cui sempre la Gullino ha dato vita assieme a Ilaria Borletti Buitoni, già presidente del FAI e sottosegretario alla cultura e a Ilaria Capua, la virologa italiana, attualmente direttrice dell’One Health Center dell’Università della Florida.

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A Ngaren, il Museo dell’Umanità, l’arte avrà un ruolo fondamentale.

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Ngaren Masterplan-Artist’s impression of the Orientation hall at Ngaren By Davide Bonadonna

La Città Vegetale si era occupata di Ngaren (L’inizio), il Museo dell’Umanità ideato dal paleoantropologo Richard Leakey, all’inizio di ottobre dello scorso anno. Torniamo sull’argomento perché è stato ultimato e diffuso il masterplan finale del progetto che delinea la fisionomia e il cronoprogramma dell’iniziativa. Il museo sorgerà nei pressi di Nairobi, capitale del Kenya, dove Leakey ha condotto le sue ricerche sull’origine della vita, nel corso delle quali, nel 1984, nei pressi del lago Turkana, era stato ritrovato lo scheletro completo di un ominide morto a 10 anni e risalente a 1,6 milioni di anni fa, denominato poi Ragazzo di Turkana. La realizzazione del museo, con una superficie di circa diecimila metri quadri, richiederà cinque anni (l’apertura è prevista per il novembre del 2026) con un investimento di cento milioni di dollari. A regime i visitatori dovrebbero essere un milione l’anno. Ngaren ambisce ad essere non solo il principale e più innovativo museo del continente africano ma anche a rappresentare al tempo stesso un primo esempio di museo del futuro. Di questo ho parlato con Federica Crivellaro, paleoantropologa e consulente del progetto per lo sviluppo dei contenuti e delle esposizioni.

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Lungo il miglio delle farfalle con Lucia Tumiati e Francesca Zoboli

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Francesca Zoboli-Illustrazione del libro Farfalle-Testo di Lucia Tumiati-Ed. Topipittori-2017

Le farfalle sono probabilmente, assieme alle lucciole, alle coccinelle e alle api, tra gli insetti più amati da noi umani. Primo Levi, nel suo libro L’altrui mestiere, sosteneva che “il nostro stesso concetto di bellezza si sia modellato su di loro…Nella nostra civiltà sono <<belli>> i colori vivaci e la simmetria e così sono belle le farfalle” che sono “una vera fabbrica di colori” (naturalmente stiamo parlando di quelle diurne, i rapaloceri, così diverse da quelle notturne, le falene). Al tempo stesso, il loro volare di fiore in fiore è divenuto simbolo di un certo modo di concepire le relazioni sentimentali, cristallizzato da W.A. Mozart nell’aria “non più andrai, farfallone amoroso“ delle Nozze di Figaro, assieme a quello di una vita spensierata e priva di affanni lavorativi. Negli ultimi tempi poi, le farfalle, essendo degli ottimi bioindicatori, sono state associate ai timori connessi ai cambiamenti climatici e all’interazione non lineare di processi atmosferici che il matematico e meteorologo Edward Lorenz sintetizzò nel suo effetto farfalla secondo cui “un battito d’ali di una farfalla in Brasile avrebbe potuto provocare un uragano in Texas”. Frase che, anche se non andava intesa in senso letterale, è divenuta un modo di dire rappresentativo della imprevedibilità delle condizioni atmosferiche, esteso poi ad altri contesti.

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“Lo spettro di Malthus” inquieta ancora Marzia Migliora

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Marzia Migliora, La gabbia, 2019-2020. Elementi in ferro e legno, paglia, paraocchi, scatola per diorami, blocco di sale inciso, ferro e coda di cavallo, 265 x 300 x 300 cm. Foto di Renato Ghiazza. Courtesy: dell’artista; Museo MA*GA.

Al Museo MAGA di Gallarate, fino al 10 marzo(salvo ulteriori restrizioni), sarà possibile visitare la mostra di Marzia Migliora(Alessandria-1972), Lo spettro di Malthus, che consiglio di visitare per almeno tre motivi: affronta l’argomento della disponibilità delle risorse alimentari che spesso diamo per scontata; contiene poche opere che richiedono tempo per essere viste e assorbite, grazie anche a un bell’opuscolo con foto e contributi utili alla riflessione successiva; l’ingresso gratuito che assorbe le spese di viaggio che potreste dover sostenere per raggiungere il museo. L’artista conosce il tema del cibo e delle risorse alimentari di cui si era già occupata in altri lavori. Figlia di agricoltori, ha vissuto l’infanzia in una casa circondata da coltivazioni e popolata di animali. “La vita contadina, la cura della terra e la determinazione delle specie vegetali, credo che abbiano formato il mio sguardo d’artista”, dice di sé stessa.

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Luciano Mello Witkowski Pinto, un artista dalla parte dell’innocenza

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Luciano Mello Witkowski Pinto-Installazione Jaguar-uomo- 2019-composito e pigmento-misure variabili

Luciano Mello Witkowski Pinto (Americana, 1972) è un artista brasiliano che si è diplomato in scultura all’Accademia delle Belle Arti di Brera e che è tornato da alcuni anni a vivere in Italia. La sua vita artistica ha inizio a 12 anni quando un suo disegno viene notato da un insegnante che lo convince a prendere lezioni di anatomia. Dopo aver frequentato il liceo tecnico, che gli fornisce delle solide basi per la conoscenza dei materiali delle sue successive opere di scultura, viene a studiare a Milano, dove conoscerà Margherita Leoni, l’artista bergamasca di cui ho parlato due settimane fa e che diventerà sua moglie. In Brasile ha un suo laboratorio e inizia a realizzare sculture in marmo e bronzo, materiali che poi abbandonerà a favore di compositi di vario tipo che gli danno la possibilità di realizzare le forme e gli effetti desiderati.

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“Il Primo Canto” di Edoardo Manzoni

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Edoardo Manzoni-Natura Morta: Germano Reale, Alzavola, Pittima, Folaga-legno, legno laccato, ferro ramato, vetro, vernice-2020-Foto di Alberto Petrò

Edoardo Manzoni (Crema 1993) è un giovane e promettente artista che ha già al suo attivo numerose mostre e altri interessanti iniziative artistiche. Avevo già scritto di lui a inizio febbraio di quest’anno, in occasione della sua mostra “Fame” che aveva tenuto allo spazio State of di Milano, in cui aveva affrontato il tema della caccia e della relazione cacciatore-preda, mettendo in evidenza che i suoi aspetti archetipici: la fame, l’attesa, la seduzione, non appartengono solo a questa attività ma sono propri del nostro vivere quotidiano e della nostra esperienza di esseri dotati di sentimenti che elaborano strategie di conquista.

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Le lucciole di Pasolini rischiarano ancora il nostro cammino

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Pier Paolo Pasolini alla Borgata del Quarticciolo – 1960

All’inizio di ottobre, avevo visitato due mostre: quella di Cristóbal Gracia (Città del Messico 1987), intitolata “Lucciole nella terza natura” alla Galleria Viasaterna e “Cittadini” di Paola Di Bello (Napoli 1961) alla Galleria Bianconi. In quest’ultima esposizione, di cui ho già parlato il 5 ottobre e in cui quasi tutte le opere raffiguravano essere umani o la loro attività, mi aveva incuriosito la presenza di due opere (apparentemente fuori tema ma di questo parlerò prossimamente), chiamate “Lucciole” che erano state ottenute facendo camminare alcune di queste su della carta fotosensibile. Si dice che due indizi sono una coincidenza ma il comunicato della mostra di Gracia conteneva un riferimento ad un saggio del 2009 dello storico dell’arte G.D. Huberman, “Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze”, a commento dell’Articolo delle Lucciole, pubblicato da Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera del 1 febbraio 1975. A questo punto gli indizi erano più che sufficienti a provare che dovevo occuparmi delle lucciole.

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Giorgia Oldano ci invita a conoscere e a ricordare gli animali

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Giorgia Oldano – SOLE 02- Letterpress e monotipo 36 X 50,5- 2020

Alcuni giorni fa, ho appreso la notizia della scomparsa di Silver, un lemure di 32 anni, ospite del Parco Natura Viva di Bussolengo (VR), al quale era stato donato dal famoso naturalista, zoologo ed esploratore Gerald Durrell quando aveva quattro anni e che nel corso della sua vita aveva contribuito a procreare una discendenza di 81 individui lungo 4 generazioni diverse. Per quanto i parchi natura possano apparire discutibili, dato che gli animali vivono in un territorio che “cerca” di riprodurre le loro condizioni di vita originarie, è grazie all’attività del Parco se 105 specie di animali a rischio estinzione hanno potuto essere salvate.

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