Lo sguardo di Margherita Morgantin per vedere nel “buio”

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Margherita Morgantin – COSINUS (Venti Cosmici) – installazione di maniche a vento-Orti Boschetto – 2021 

Margherita Morgantin (Venezia, 1971), artista visiva, laureata in architettura con una tesi in fisica tecnica sul comportamento della luce naturale e docente all’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, è da sempre appassionata di scienza “perché il metodo scientifico mi ha sempre dato fiducia e sentivo che, per guardare più lontano, avevo bisogno di strumenti più affilati. Al tempo stesso il linguaggio scientifico ha un che di poetico e le formule scientifiche parlano degli scienziati ma anche di me”. Nel 2020 è risultata vincitrice della VIII° edizione del Premio Italian Council con il progetto V.I.P. (Violation of the Pauli exclusion principle) che si articola in una serie di eventi di vario tipo. Uno degli esiti consiste nel libro Sotto la montagna Sopra la montagna, edito da Nottetempo, ora in libreria, in cui si rappresentano i diversi luoghi di svolgimento del progetto e i temi affrontati. “Nel libro testo e grafica stanno in un forma di tensione e amicizia, nessuna immagine è completamente illustrativa ma dice altro”.

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Flora ferroviaria, la rivincita della natura sull’uomo di Ernesto Schick

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Epilobium hirsutum L. in una vasca di lavaggio della stazione di Milano Centrale (Foto: Rodolfo Gentili-dettaglio)-Immagine tratta da Natura-Volume 110 (1) 2020

Anche chi non è esperto di piante è in grado di apprezzare la loro capacità di diffondersi ovunque dovuta alle straordinarie facoltà di movimento che possiedono. Stefano Mancuso nei suoi libri ha descritto come esse siano state indagate a partire dalle indagini di W.F.P. Pfeffer (1845-1920), che si servì delle prime riprese fotografiche per dimostrare i movimenti notturni e diuturni delle piante. Questi si distinguono in attivi e passivi: i primi richiedono un consumo di energia e hanno che fare con il cambiamento di turgore delle cellule causato dal flusso osmotico di acqua attraverso le membrane cellulari. I secondi invece, utilizzano l’energia dei fenomeni atmosferici unita al passaggio fornito da qualche animale. Esistono però altri movimenti delle piante che sono indotti dall’attività umana o dalla sua inattività, come nel caso della flora ferroviaria e di quella aeroportuale e che riguardano quelle varietà che si sviluppano in questi luoghi dedicati ai trasporti.

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Acuire i sensi. Arte, Biofilia, Ecologia profonda. Colloquio con Dacia Manto

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Nel bosco di Dacia Manto animali e piante agiscono su di noi

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Dacia Manto-Nebulosa#16-Red Lab Gallery-2021

Walden, il bosco in cui il filosofo Henri David Thoreau (1817-1862), si ritirò a vivere per 26 mesi quando aveva ventotto anni, per sottrarsi allo stile di vita dei propri concittadini di Concord, è un luogo sempre attuale e ricorrente nella trattazione artistica che ne è seguita. Non stupisce quindi che Dacia Manto (Milano, 1973), che si ispira a Thoreau e che già nel 2008, a Ravenna, gli aveva dedicato una installazione e una performance, abbia voluto, in un certo qual modo, ricrearlo a Milano, alla galleria Red Lab diretta da Lucia Pezzulla. Entrati ci si trova in una piccola stanza in cui alle pareti scure sono appesi i lavori realizzati dall’artista su vari materiali, con diverse tecniche e di differenti dimensioni. Sedendovi sulla panca posta al centro della stanza, vi troverete immersi in un bosco da cui potrete osservare non immagini separate ma un panorama unico e coerente, formato da una ricca e fitta vegetazione in cui vivono animali e in cui in lontananza scorgiamo un lago e talvolta intravediamo una figura umana. Avvertiamo un senso di pace, di tranquillità, il luogo non ci spaventa, ci troviamo in quella che l’artista definisce “una tana, uno spazio chiuso e sicuro” ma anche un caleidoscopio della natura. La mostra si intitola Nebulosa 11, beside Walden e prende il nome da Nebula, la lupa dell’artista morta da poco.

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Il green Gran Tour di Federica Galli

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Ritratto_Federica_Galli_ph_Berengo_Gardin

A Milano, è in corso e resterà aperta fino al 27 giugno, la mostra Federica Galli green Gran Tour che vi consiglio di visitare. Avevo scoperto le sue opere nel corso della mostra della fotografa Beth Moon dedicata agli alberi secolari del nostro pianeta, svoltasi lo scorso anno, alla galleria Salamon Fine Arts. Alle foto erano state sapientemente accostati alcuni alberi in ferro battuto di Lorenzo Zanon e delle acqueforti di Federica Galli dedicate allo stesso soggetto. In un primo momento, ero rimasto colpito più dai primi, che sentivo più vicini alla tradizione della mia terra d’origine e della mia famiglia, avendo mio padre praticato quella tecnica ma poi, fu la gallerista Lorenza Salamon, una delle massime esperte del settore e presidentessa della Fondazione dedicata alla Galli, che ebbe la pazienza di assistermi e portò la mia attenzione sulle seconde e sul suo percorso artistico. Fu sempre lei a farmi comprendere, nel corso di quel breve colloquio, l’importanza delle incisioni nello sviluppo culturale europeo, perché esse sono state le prime immagini a poter essere stampate, contribuendo ad alimentare la circolazione delle idee.

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WeTree: donne, scienza e arte per la salute circolare

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weTree-Torino-Il bosco delle artiste -Progetto Studio Linee Verdi di Stefania Naretto e Chiara Bruno Otella-Grafica Sara Lamon

Nel corso del primo anno della pandemia da Covid-19 uno dei fenomeni più sottolineati dai commentatori era che mentre il mondo degli esseri umani rallentava, quello dei vegetali proseguiva la sua vita normale, occupando degli ulteriori spazi. Eppure, anche le piante si ammalano e non sempre per colpa dell’uomo. Secondo la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ogni anno insetti fitofagi e patogeni vegetali sono responsabili della perdita del 40% delle colture alimentari. Il 2020 era anche l’anno della Salute delle Piante, indetto per l’appunto dalla FAO che in Italia è stato celebrato da Plant Health, il festival organizzato da Agrinnova, un centro di competenza dell’Università di Torino, diretto da Maria Lodovica Gullino, docente di patologia vegetale nello stesso ateneo. L’evento, a causa della pandemia, prosegue anche nel 2021 e ad esso si è aggiunto weTree, un progetto per la promozione di aree verdi nelle città dedicate alle donne, a cui sempre la Gullino ha dato vita assieme a Ilaria Borletti Buitoni, già presidente del FAI e sottosegretario alla cultura e a Ilaria Capua, la virologa italiana, attualmente direttrice dell’One Health Center dell’Università della Florida.

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A Ngaren, il Museo dell’Umanità, l’arte avrà un ruolo fondamentale.

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Ngaren Masterplan-Artist’s impression of the Orientation hall at Ngaren By Davide Bonadonna

La Città Vegetale si era occupata di Ngaren (L’inizio), il Museo dell’Umanità ideato dal paleoantropologo Richard Leakey, all’inizio di ottobre dello scorso anno. Torniamo sull’argomento perché è stato ultimato e diffuso il masterplan finale del progetto che delinea la fisionomia e il cronoprogramma dell’iniziativa. Il museo sorgerà nei pressi di Nairobi, capitale del Kenya, dove Leakey ha condotto le sue ricerche sull’origine della vita, nel corso delle quali, nel 1984, nei pressi del lago Turkana, era stato ritrovato lo scheletro completo di un ominide morto a 10 anni e risalente a 1,6 milioni di anni fa, denominato poi Ragazzo di Turkana. La realizzazione del museo, con una superficie di circa diecimila metri quadri, richiederà cinque anni (l’apertura è prevista per il novembre del 2026) con un investimento di cento milioni di dollari. A regime i visitatori dovrebbero essere un milione l’anno. Ngaren ambisce ad essere non solo il principale e più innovativo museo del continente africano ma anche a rappresentare al tempo stesso un primo esempio di museo del futuro. Di questo ho parlato con Federica Crivellaro, paleoantropologa e consulente del progetto per lo sviluppo dei contenuti e delle esposizioni.

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A Lodi la Natura Risponde

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Natura Risponde-Foto © Alberto Messina

A Lodi è ancora visitabile la mostra collettiva Natura Risponde curata da Angela Madesani e organizzata dall’ Associazione21, promossa nel 2019 dall’artista Pierpaolo Curti assieme ad un gruppo di amici. Curti ci tiene però a precisarmi che qui è presente in veste di operatore culturale e di guida e non espone le sue opere anche se alcune di queste sono però visibili nel suo studio che si trova a fianco allo spazio in cui si svolge la rassegna. L’associazione non ha avuto vita facile perché, subito dopo la sua costituzione è incappata nel Covid che nel territorio lodigiano ha avuto avvio. Oggi, pertanto, mentre stiamo cercando di lasciarci alle spalle questo periodo, una esposizione sull’argomento natura è l’occasione per interrogarci sulla relazione tra le forme dell’agire umano e le conseguenze che esso provoca e che si ripercuotono sullo stesso.

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Luca Trevisani ci porta “In Bocca” al cibo

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Luca Trevisani-In Bocca-Galleria Pinksummer-Genova-2021-Foto Giulio Boem

Immaginate una stanza completamente bianca. Bianchi il pavimento, le pareti, le volte e gli infissi. Anche l’aria sembra piena di pulviscoli dello stesso colore. E voi e i vostri abiti, se poteste guardarvi, vi sentireste così. Il tempo e i suoni sono sospesi, come quando siete di fronte a un paesaggio innevato. Davanti a voi ci sono tre teche trasparenti e solo dopo un po’ vi accorgete che non sono sospese ma che sono appoggiate su delle basi di legno scuro. Vi avvicinate a quella più vicina a voi con un certo timore e quando guardate all’interno vedete degli oggetti che faticate a riconoscere, hanno qualcosa di familiare, sapete di conoscerli eppure non riuscite a capire cosa sono. Sembrano dei fossili, risultato dell’agire del tempo sulla materia biologica ma potrebbero essere anche dei reperti di uno scavo archeologico: piccole ciotole, monili, bicchieri, grandi crateri impiegati per cucinare, di cui è rimasta solo una sottile lamina. Poi, pian piano, si fa strada in voi il ricordo di quelle forme, sono vegetali, sono cibo, che pur vedendoli ogni giorno, anzi forse perché li vedete ogni giorno, avete fatto fatica a riconoscere.

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Lungo il miglio delle farfalle con Lucia Tumiati e Francesca Zoboli

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Francesca Zoboli-Illustrazione del libro Farfalle-Testo di Lucia Tumiati-Ed. Topipittori-2017

Le farfalle sono probabilmente, assieme alle lucciole, alle coccinelle e alle api, tra gli insetti più amati da noi umani. Primo Levi, nel suo libro L’altrui mestiere, sosteneva che “il nostro stesso concetto di bellezza si sia modellato su di loro…Nella nostra civiltà sono <<belli>> i colori vivaci e la simmetria e così sono belle le farfalle” che sono “una vera fabbrica di colori” (naturalmente stiamo parlando di quelle diurne, i rapaloceri, così diverse da quelle notturne, le falene). Al tempo stesso, il loro volare di fiore in fiore è divenuto simbolo di un certo modo di concepire le relazioni sentimentali, cristallizzato da W.A. Mozart nell’aria “non più andrai, farfallone amoroso“ delle Nozze di Figaro, assieme a quello di una vita spensierata e priva di affanni lavorativi. Negli ultimi tempi poi, le farfalle, essendo degli ottimi bioindicatori, sono state associate ai timori connessi ai cambiamenti climatici e all’interazione non lineare di processi atmosferici che il matematico e meteorologo Edward Lorenz sintetizzò nel suo effetto farfalla secondo cui “un battito d’ali di una farfalla in Brasile avrebbe potuto provocare un uragano in Texas”. Frase che, anche se non andava intesa in senso letterale, è divenuta un modo di dire rappresentativo della imprevedibilità delle condizioni atmosferiche, esteso poi ad altri contesti.

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