Antropocentrico e vegetale nella fotografia di Giovanni Tavano

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Giovanni Tavano, “Mondi Paralleli”, 2010-2020

Giovanni Tavano (Pescara-1954), presenta fino al 3 settembre, nella bella cornice del Museo Laboratorio ex Manifattura Tabacchi di Città Sant’Angelo (PE), Fotografie dal 1977 al 2020, una selezione del suo lavoro storico in b/n sviluppato tra la fine degli anni Settanta e quella degli anni Ottanta e di quello inedito a colori a cui si è dedicato dal 2012 al 2020, su cui mi concentrerò perché attinente al tema di questo blog. Per le tecniche, gli argomenti e i linguaggi impiegati, la mostra è un riassunto anche delle problematiche della fotografia che sono state dibattute in un Talk on photograpy svoltosi l’11 agosto nella stessa sede espositiva a cui hanno partecipato tra gli altri, oltre all’autore e al curatore Enzo De Leonibus, anche i critici Antonio Zimarino e Ivan D’Alberto, i docenti Marco Brandizzi e Franco Fiorillo e i fotografi Paolo Dell’Elce e Jacopo Pasqui.

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La natura agricola di Hilario Isola (intervista)

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Hilario Isola – SILOS – 2021

Hilario Isola (Torino, 1976) è uno dei pochi artisti italiani contemporanei a occuparsi esplicitamente del mondo agricolo, aspetto che mi sta particolarmente a cuore, perché ciò che chiamiamo paesaggio o natura spesso coincide con la realtà antropizzata dell’agricoltura, soggetto che però viene tenuto ai margini del campo di osservazione dell’arte. Isola al contrario, che unisce alla sua attività di artista quello di piccolo imprenditore agricolo, mette l’agricoltura al centro della sua indagine, unendo “la dimensione organica e viva della natura alla dimensione del sapere artigianale dell’uomo”, che certamente, aggiungo, rimane ancora presente nell’ambito agricolo ma anche ai miti che sono legati alla coltivazione della terra. La sua ricerca si fa forte di una ricchezza di mezzi espressivi che presuppongono una profonda conoscenza della stessa e l’impiego di un’ampia gamma di materiali: attrezzature e cascami dell’attività agricola (reti antigrandine, vinacce) e processi (fermentazione, stagionatura) oltre a insetti e prodotti finali, coinvolgendo non solo la vista ma tutti gli altri sensi. Il suo ultimo lavoro è Rurale, presentato recentemente a Roma, alla Galleria Valentina Bonomo. Sul suo sito web è possibile rendersi conto dell’evoluzione del suo progetto.

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Quattro visioni dell’oceano e i 50 Mari di Mathieu Lehanneur

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50 Seas 02_Mathieu Lehanneur ©Felipe Ribon (Black Sea – Ukraine – Nota dell’autore)

Quest’anno la Giornata degli Oceani, ricorrente l’8 giugno, si è svolta in concomitanza con la Biennale di Venezia e la Design Week di Milano ed è stata celebrata sia in queste manifestazioni sia in alcuni altri eventi collaterali. Al tempo stesso essa è stata l’occasione per fare il punto sull’oceano e il mare, che qui intendo come sinonimi, come luogo artistico e anche sullo spazio che essi hanno nella trattazione artistica ambientale. Pur essendo deputati alla produzione di ossigeno e di risorse alimentari essi continuano ad essere per noi umani luoghi inospitali, in cui non possiamo vivere e in cui non prevediamo di farlo nei prossimi decenni, mentre stiamo sviluppando il nostro viaggio su Marte, e che anzi sono divenuti minaccianti a causa del rischio dell’innalzamento del loro livello. D’altro canto, l’oceano, come dice la curatrice e storica dell’arte Chus Martinez (1972), è un luogo che racchiude storia e cultura e quindi abilitato ad essere oggetto artistico da vari punti di vista.

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La Natura Sovrana di Francesco Santosuosso

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Francesco Santosuosso – APOCALICTIC RIVER – olio e acrilico su tela – cm 150 200 – 2019

Immergendomi tra le opere della mostra Natura Sovrana di Francesco Santosuosso (Milano – 1959) in corso alla Galleria Rubin di Milano fino al 29 maggio, ho provato la sensazione che non si trattasse di paesaggi, nonostante essi da un punto di vista puramente definitorio lo siano, assieme a tutta la gamma di opposti sentimenti che si avvertono allorquando ci si trova di fronte a degli ambienti naturali: paura, timore, pace, quiete. Provo a spiegarvi perché.

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Spore e Metaspore tra Torino e Milano, le mostre di Carlo Steiner e Anicka Yi

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Anicka Yi – Biologizing The Machine (terra incognita), 2019 -Vetrine in acrilico, acciaio verniciato, terra di Venezia, carbonato di calcio, tuorli d’uovo, cellulosa, PCB personalizzato, sensori di gas – Dimensioni variabili – Courtesy l’artista, Gladstone Gallery, New York e
Bruxelles, e 47 Canal, New York – Foto Renato Ghiazza

A Torino, alla galleria Gagliardi e Domke Contemporary, fino al 19 maggio e a Milano al Pirelli HangarBicocca, fino al 27 luglio, sono di scena rispettivamente le Spore di Carlo Steiner (Rieti, 1957) e le Metaspore di Anicka Yi (Seoul, 1971). Due mostre molto diverse, accomunate dalla presenza nel titolo e in sala delle spore, cioè di una forma di vita che nel regno vegetale e nei funghi, di cui si occupa Steiner, serve alla riproduzione, mentre nei batteri, a cui è più interessata Anicka YI, è impiegata a mantenere in vita una specie allorquando le condizioni ambientali sono avverse, restando in uno stato latente, fino al momento in cui trovano un substrato giusto per far ripartire il processo di germinazione. Pur trattandosi di tecniche diverse, pittura per Steiner, scultura per Anicka Yi, le mostre trattano dell’intervento dei processi naturali, a livello microscopico, nel lavoro artistico e di quale sia il ruolo dell’artista.

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Arte, natura e paesaggio

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Claude Monet – Impressione-Sole all’alba- 1872

Il presente testo è la sintesi della relazione da me presentata al Master sulla bellezza organizzato dall’Istituto Uomo e Ambiente il 26 novembre scorso.

Nel rapporto tra arte, natura e paesaggio, l’Ottocento, il diciannovesimo secolo, rappresenta uno snodo fondamentale. Un secolo che inizia dalle conseguenze della Rivoluzione francese, con guerre combattute da armate a piedi e a cavallo e che vedrà, soprattutto nella seconda metà una vera e propria rivoluzione tecnologica, sociale e artistica con una nuova visione della natura e del paesaggio che ha le sue propaggini ancora ai nostri giorni. Gli sviluppi della chimica, della fisica, dei trasporti, delle comunicazioni, della fotografia e gli eventi in cui saranno rappresentati, le esposizioni universali, avranno conseguenze enormi sulla percezione della realtà e sulle sensazioni umane.

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Enrico Minguzzi alla sfida della “natura morta”

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Alla Nuova Galleria Morone di Milano, Enrico Minguzzi (Cotignola-1981) con la mostra Fluoritura, riporta in auge il genere artistico della natura morta, in voga in Europa nel Sei-Settecento e che ha avuto come ultimo grande rappresentante italiano Giorgio Morandi. Lo fa in forme nuove, anche se classicheggianti: nuovi sono gli oggetti “naturali” che dispone al centro della scena su alzatine o vasi appoggiati su un piano, nuovo il colore predominante, un grigio in varie tonalità, nuovo anche il legame tra l’oggetto dipinto e la natura da cui proviene che troviamo raffigurata in alcuni quadri esposti.

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Dal rigore del paesaggio al sublime della natura, il percorso di Paola Marzoli

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Paola Marzoli – Oxalis acetosella a Santa Maria Nascente – 2020 – olio su tela di lino – 80×100

I versi del poeta americano Walt Whitman (1819-1892): “Credo che una foglia d’erba non sia meno di un giorno di lavoro delle stelle”, descrivono perfettamente il senso delle opere di Paola Marzoli (Lecco 1944), presentate nella mostra Ogni erba ha un nome, in corso alla Galleria Rubin di Milano, fino al 27 novembre. Si tratta di un’artista che assomma in sé tre personalità, quella di architetto, di psicoterapeuta e di pittrice e che ha portato avanti una lunga ricerca individuale, culminata nell’approdo alla religione nei primi anni di questo secolo e di cui i quadri esposti sono una raffigurazione.

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Il paesaggio originario di Paolo Dell’Elce

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L’immagine in testata è uno scatto del fotografo Paolo Dell’Elce di cui potete leggere la biografia cliccando sulla foto. A commento della stessa trovate un capitolo del suo scritto “La porta nel paesaggio” , risalente agli anni Novanta, che ritengo sia molto utile come introduzione al suo lavoro (FDF).

Nella mia esperienza artistica ritengo che sia stato fondamentale il luogo in cui sono venuto al mondo.

Sono nato nel terzo giorno di primavera, esattamente al sorgere del sole, con la luce; in una casa modesta in prossimità della spiaggia e ai margini di un’estesa pineta litoranea, all’epoca ancora piuttosto selvaggia. Ho respirato l’aria salmastra del mare e la resina dei pini per tutta la mia infanzia. I ricordi più lontani mi riportano l’immagine scura di una culla nel controluce di una finestra, un riflesso, un bagliore sul pavimento e poi tutto ritorna nel buio.

La mia memoria risale a quella percezione, si muove verso il presente da quel punto. Nasce dalla percezione della luce e del buio. Successivamente ricordo la pineta di notte, un’immensa massa scura interrotta talvolta da piccole luci che mio nonno diceva che fossero gli occhi dei lupi. Poi il mare d’inverno, che vedevo dalla mia finestra, grigio uniforme.

Scrive Attilio Bertolucci: – Le gaggie della mia fanciullezza / dalle fresche foglie che suonano in bocca… / Si cammina per il Cinghio asciutto, / qualche ramo più lungo ci accarezza (…). –  È la rievocazione di un particolare paesaggio: il paesaggio originario, dove ogni suo elemento acquista una valenza fondamentale nella sensibilità del futuro poeta. La gaggia è l’elemento di questo paesaggio che ritroveremo, immancabile, in tante sue liriche.

Rievocare nel ricordo questo paesaggio, significa rievocare la nascita, quel momento lontano in cui si è vissuti “come in un caldo sogno”.

Nel mio lavoro fotografico ho rievocato i luoghi della mia nascita, identificando gli elementi del mio Paesaggio originario. Tutta la mia esperienza estetica sembra ricondurmi a certi soggetti del paesaggio che si manifestano in un forte controluce come segno o massa scura; chiome di pini, tronchi d’albero che si stagliano su uno sfondo luminoso uniforme, Sylvia Plath scrive: – Neri sono gli alberi della memoria… –.

Spesso mi chiedono perché fotografo sempre gli alberi. Mi è sempre difficile rispondere con parole pronte e vorrei parlare a lungo della grande bellezza di un albero, della sua presenza; la sua astanza. L’albero sta e si pensa. La sua vita apparentemente immobile mi assorbe e mi trasmette la percezione di un ritmo differente da tutta la realtà circostante.

L’albero diventa un’isola; forse una porta, il custode vivente del Tempo. L’immagine nera degli alberi nel paesaggio mi partecipa il senso di una solitudine cosmica; la sofferenza, il dolore del mondo, ma anche un’intima sensazione della bellezza assoluta e ineffabile. La nera purezza di queste forme ha strutturato il mio spazio spirituale donandomi il conforto di una consapevolezza esistenziale, come quando di notte, camminando soli per una strada deserta, nel silenzio, improvvisamente ci accorgiamo del suono dei nostri passi; quel suono ci rivela a noi stessi e da quel momento ci accompagnerà nel nostro cammino.

Il Paesaggio originario è il luogo primordiale, ma anche immagine primordiale, è lo spazio nascente che si origina con l’uomo, ma che serba il sapore di una “nostalgia senza oggetto” e il sentimento numinoso di una preesistenza.

Cristina Volpi ha levato l’àncora

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Si è svolta a Milano, nello studio museo Francesco Messina, nell’ambito delle manifestazioni del Fuori Salone, l’edizione 2021 di Terra Migaki Design, la manifestazione che promuove la realizzazione di edifici, finiture e oggetti in terra cruda, coordinata dall’arch. Sergio Sabbadini, di cui avevo parlato lo scorso anno. L’edizione di quest’anno, denominata con il termine giapponese Sozai (materie prime), era dedicata al tema del design sostenibile. L’evento comprendeva anche alcune installazioni artistiche, tra cui l’opera di Cristina Volpi (Saronno, 1975) Terra Àncora, terra ancora, che rappresenta un punto di svolta nella sua produzione. Lo spazio espositivo, ospitato nella chiesa sconsacrata di San Sisto al Carrobbio, si presta particolarmente, con i suoi diversi livelli (la cripta, la navata e la volta), per gli interventi della Volpi che lo sente come luogo dell’anima, della coscienza, dell’inconscio e dell’ultraterreno ma anche della consapevolezza del sé.

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