La natura essenziale di Gianni Mantovani

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Gianni Mantovani-La luce che è in noi, 2020-cm 30x 30-tecnica mista su tela- (particolare)

Quando mi sono imbattuto casualmente nei dipinti di Gianni Mantovani (Concordia, MO, 1950), ho provato quella sensazione di andare oltre che è una delle componenti dell’emozione che provoca in noi un’opera d’arte e che, per l’appunto, mi ha spinto ad andare al di là dell’apparente semplicità della scena rappresentata. Pochi colori, quasi sempre il rosso, qualche volta il giallo, meno spesso l’azzurro, e poi il bianco e il nero. Figure elementari di case e chiese, alberi appena accennati con chiome tonde o affusolate, colline ripidissime o pianori, mai persone o animali. Una semplificazione della realtà non istintiva ma ragionata, certo molto vicina a quella che operano i più piccoli quando disegnano, perché i suoi lavori appaiono del tutto simili a quelli di un bambino anche se sono il risultato di un ragionamento, di una riflessione, di una scelta.

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A Pescara, sulle tracce della Pineta Dannunziana

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Paolo Dell’Elce-Pineta di Pescara

Nella prima quindicina di luglio ero in Abruzzo e avevo visitato, anche se frettolosamente, la Pineta Dannunziana e per questo sono poi rimasto colpito dall’incendio del due agosto che l’ha interessata. Nonostante sia stato domato abbastanza rapidamente, il rogo ha distrutto interamente il comparto cinque, la zona di riserva integrale chiusa al pubblico, inoltre, il fatto che si sia sviluppato all’interno della città ha creato un forte impatto psicologico. Durante la visita mi ero però sorpreso nello scoprire che l’area fosse stata istituita come Riserva Naturale Dannunziana solo il 18 maggio del 2000, cioè appena 21 anni fa e mi sembrava che questo stridesse un po’ con l’esternazione di sentimenti di preoccupazione che è seguita al fuoco. Possibile che un bene così importante avesse trovato così poca e recente attenzione? E quanto questo bene era stato presente nella ricerca artistica a testimonianza del suo valore simbolico? Qui di seguito espongo i risultati delle letture, delle visite e degli incontri di un milanese/abruzzese in vacanza, senza alcuna pretesa di completezza.

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Anche l’usignolo sa che la nostra vita e le campagne sono cambiate

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<<…Il restauro conservativo suscitava il ricordo di chi prima vi aveva vissuto…>> La corte della Forestina, con la Casa del Fattore sulla destra © Martina Corbetta, 2020

Consiglio la lettura del bel libro di Niccolò Reverdini (Milano, 1965), Anche l’usignolovita di città, di bosco e di campagna (Mondadori-2021) un romanzo-saggio, o viceversa (decida il lettore come definirlo) dedicato alla sua esperienza di imprenditore agricolo sui terreni di famiglia alle porte di Milano. Avevo conosciuto l’autore attraverso la mia collaborazione con l’associazione a cui aderisce e sapevo che era pronipote dello scrittore e diplomatico Carlo Pisani Dossi (1849-1910); che era stato allievo del critico letterario Dante Isella e che aveva una profonda passione e conoscenza dei classici greci e latini, nonché della letteratura lombarda, di cui troverete ampia evidenza nel suo racconto. Ma il volume è a mio avviso importante perché rappresenta una testimonianza, sentita e appassionata, delle trasformazioni intercorse, nel giro di appena trent’anni, nelle campagne attorno a Milano e a tutte le altre grandi città, in quella che si definisce agricoltura periurbana. Un ambiente costituito da elementi naturali come la terra, il bosco, gli animali ma anche da persone, linguaggi e storie che Reverdini descrive con grande capacità.

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Nel bosco di Dacia Manto animali e piante agiscono su di noi

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Dacia Manto-Nebulosa#16-Red Lab Gallery-2021

Walden, il bosco in cui il filosofo Henri David Thoreau (1817-1862), si ritirò a vivere per 26 mesi quando aveva ventotto anni, per sottrarsi allo stile di vita dei propri concittadini di Concord, è un luogo sempre attuale e ricorrente nella trattazione artistica che ne è seguita. Non stupisce quindi che Dacia Manto (Milano, 1973), che si ispira a Thoreau e che già nel 2008, a Ravenna, gli aveva dedicato una installazione e una performance, abbia voluto, in un certo qual modo, ricrearlo a Milano, alla galleria Red Lab diretta da Lucia Pezzulla. Entrati ci si trova in una piccola stanza in cui alle pareti scure sono appesi i lavori realizzati dall’artista su vari materiali, con diverse tecniche e di differenti dimensioni. Sedendovi sulla panca posta al centro della stanza, vi troverete immersi in un bosco da cui potrete osservare non immagini separate ma un panorama unico e coerente, formato da una ricca e fitta vegetazione in cui vivono animali e in cui in lontananza scorgiamo un lago e talvolta intravediamo una figura umana. Avvertiamo un senso di pace, di tranquillità, il luogo non ci spaventa, ci troviamo in quella che l’artista definisce “una tana, uno spazio chiuso e sicuro” ma anche un caleidoscopio della natura. La mostra si intitola Nebulosa 11, beside Walden e prende il nome da Nebula, la lupa dell’artista morta da poco.

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Il green Gran Tour di Federica Galli

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Ritratto_Federica_Galli_ph_Berengo_Gardin

A Milano, è in corso e resterà aperta fino al 27 giugno, la mostra Federica Galli green Gran Tour che vi consiglio di visitare. Avevo scoperto le sue opere nel corso della mostra della fotografa Beth Moon dedicata agli alberi secolari del nostro pianeta, svoltasi lo scorso anno, alla galleria Salamon Fine Arts. Alle foto erano state sapientemente accostati alcuni alberi in ferro battuto di Lorenzo Zanon e delle acqueforti di Federica Galli dedicate allo stesso soggetto. In un primo momento, ero rimasto colpito più dai primi, che sentivo più vicini alla tradizione della mia terra d’origine e della mia famiglia, avendo mio padre praticato quella tecnica ma poi, fu la gallerista Lorenza Salamon, una delle massime esperte del settore e presidentessa della Fondazione dedicata alla Galli, che ebbe la pazienza di assistermi e portò la mia attenzione sulle seconde e sul suo percorso artistico. Fu sempre lei a farmi comprendere, nel corso di quel breve colloquio, l’importanza delle incisioni nello sviluppo culturale europeo, perché esse sono state le prime immagini a poter essere stampate, contribuendo ad alimentare la circolazione delle idee.

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