Luciano Mello Witkowski Pinto, un artista dalla parte dell’innocenza


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Luciano Mello Witkowski Pinto-Installazione Jaguar-uomo- 2019-composito e pigmento-misure variabili

Luciano Mello Witkowski Pinto (Americana, 1972) è un artista brasiliano che si è diplomato in scultura all’Accademia delle Belle Arti di Brera e che è tornato da alcuni anni a vivere in Italia. La sua vita artistica ha inizio a 12 anni quando un suo disegno viene notato da un insegnante che lo convince a prendere lezioni di anatomia. Dopo aver frequentato il liceo tecnico, che gli fornisce delle solide basi per la conoscenza dei materiali delle sue successive opere di scultura, viene a studiare a Milano, dove conoscerà Margherita Leoni, l’artista bergamasca di cui ho parlato due settimane fa e che diventerà sua moglie. In Brasile ha un suo laboratorio e inizia a realizzare sculture in marmo e bronzo, materiali che poi abbandonerà a favore di compositi di vario tipo che gli danno la possibilità di realizzare le forme e gli effetti desiderati.

Si appassiona alla ceramica antica, a quella degli egizi, dei greci e degli etruschi. In particolare, con la tecnica del bucchero, dallo spagnolo bucaro, che designava una terracotta di colore nero di origine sudamericana importata dagli spagnoli, realizza numerose opere. Sperimentata già dai greci, questa tecnica fu messa a punto dagli etruschi. Con essa si otteneva una ceramica nera e lucida che era molto richiesta perché consentiva di avere vasellame, che sembrava metallico, con una spesa molto minore. Luciano Mello mi spiega che ciò era possibile grazie alla cottura in assenza di ossigeno. Il ferro presente nell’argilla durante la cottura con ossigeno sviluppa ossido ferrico che dà alla terracotta il classico colore arancione. In caso di cottura senza ossigeno si sviluppa ossido ferroso che ha colore nero. Per ottenerla gli antichi mettevano a cuocere vasi più piccoli dentro vasi più grandi. Questi ultimi sarebbero risultati arancione mentre quelli deposti all’interno sarebbero divenuti neri e lucidi. Lui per ottenere gli stessi effetti chiudeva le opere all’interno di casse di acciaio.

La sua sensibilità lo porta presto ad affrontare una delle tematiche più importanti del Brasile, quella indigena. In questo stato vivono oltre 300 etnie, di cui ben 275 indigene, che hanno subito le conseguenze delle invasioni europee sia in termini di spoliazione dei loro beni e di sottrazione dei loro territori che di contagi di malattie che non conoscevano che hanno ridotto fortemente la loro popolazione, questione che si è riproposta con forza nel caso della pandemia da Covid-19. Ad oggi, più di 30 popolazioni hanno deciso di vivere in isolamento volontario, ritirandosi all’interno della foresta amazzonica. La questione della coesistenza e del diritto di queste popolazioni a vivere nei loro territori è un argomento di fortissima attualità, contrastato da chi ritiene che in questo modo queste aree vengono sottratte allo sfruttamento agricolo.

Per Luciano Mello gli indigeni sono innocenti, sono i guardiani della foresta che deve restare integra e per illustrare i suoi principi si è ispirato al giaguaro, che ne è il predatore massimo, l’unico che può uccidere l’uomo, che ha rappresentato sia nelle sue vesti di animale nell’installazione “Jaguar-animal”, che comprende un bucchero e una ceramica policroma sia sotto forma di essere umano. L’installazione “Jaguar-uomo”, visibile nella foto di apertura, si compone di tre sculture che riproducono tre ragazzi in diverse posizioni. L’uomo giaguaro, qui rappresentato dal ragazzo che sta disteso a terra, come se ne ascoltasse la voce, rappresenta lo spirito delle foreste, la forza primordiale della natura. Delle altre due figure, due osservatori, una spia più da lontano mentre l’altra lo osserva da vicino. Luciano Mello ha lasciato l’uomo giaguaro a terra, come se dormisse, indifeso, innocente. Il colore blu oltremare è stato scelto solo perché molto amato dallo scultore ma, certamente, dona un fascino particolare alle figure.

La vicinanza di Luciano Mello alle tematiche della cultura indigena si è espressa anche in altre opere come in quella in cui ha rappresentato il mito Ipupiara, un mostro marino, facente parte della mitologia del popolo Tupis che abitava il litorale e che attaccava e divorava le persone che incontrava. Oppure il mito Mapinguari, un essere ominide alto oltre due metri dotato di forti artigli e di folti peli che gli consentivano di resistere alle frecce.

Un’altra opera importante è il gruppo della “Truppa de banderaintes” formato da 44 figure, che purtroppo dopo essere stato commissionato e realizzato non è mai stato esposto a causa di cambiamenti della situazione politica. I banderaintes erano imprenditori militari, abitanti di San Paolo, che si alleavano con alcune tribù indigene per sottometterne altre.

Dopo il suo trasferimento in Italia con la famiglia, non disponendo più di un laboratorio di scultura ha abbracciato la pittura che, mi dice, “gli consente di sognare di più”. Nell’ultimo anno si è dedicato allo studio di Caravaggio e ha realizzato una sua versione della “Cattura di Cristo”. Le differenze non consistono soltanto nelle divise dei soldati che effettuano l’arresto o nella sostituzione della lampada illuminante la scena con un telefonino con la pila accesa e nell’introduzione di una figura femminile, ma soprattutto nella posizione delle mani del Figlio di Dio. Egli mi fa notare che nell’originale esse erano in una posizione teatrale, innaturale e che non avrebbero potuto restare intrecciate mentre il corpo arretrava, per questo lui ha preferito raffigurarle nell’atto di aprirsi, in modo da esprimere la serenità e direi l’innocenza di fronte a quello che sta accadendo.

Gli chiedo infine come si possa costruire equilibrio in una coppia composta da due artisti con dei figli. Per spiegarmelo Luciano Mello usa una bella immagine, “quella dei fili di una treccia che sono separati gli uni dagli altri ma poi si avvolgono assieme. I figli, come nel sistema indigeno, seguono la nostra ricerca e imparano partecipando alle nostre esperienze.”

  • Taking of Christ, 2020, oil on linen canvas 145x185 cm
  • Installazione Jaguar-uomo, 2019, composito e pigmento, misure variabili
  • Modellazione di Mapinguari, mito indigeno amazzonico
  • The Crowning with Thorns - 2020, oil on linen, 113x87
  • Scultura Ipupiara, mito indigeno abitante delle acque
  • Installazione Jaguar-animal, 2019, bucchero e terracotta policroma
  • Particolare del gruppo scultoreo Truppa de Banderaintes, 2010
  • Particolare dell’installazione Jaguar-uomo, Jaguar uomo, 2019, composito e pigmento, cm 30x72x140

Abstract

Luciano Mello Witkowski Pinto, an artist on the side of innocence

Luciano Mello Witkowski Pinto (American, 1972) is a Brazilian artist who graduated in sculpture from the Brera Academy of Fine Arts and who has returned to Italy after spending sixteen years in Brazil. Here his sensitivity led him to address and support the issue of indigenous peoples who claim the right to live in the Amazon rainforest of which they are the guardians and which must be removed from agricultural exploitation. In this sense he has created numerous sculptural works in which he described indigenous peoples and their myths. In Italy he devoted himself to painting.


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