Il paesaggio contemporaneo secondo Michael Jakob

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Ambrogio Lorenzetti – Effetti del Buon Governo in campagna – 1338/1339

Michael Jakob non è un artista ma  insegna Lettere comparate all’Università di Grenoble e Storia e Teoria del paesaggio all’Haute école du Paysage, Ingénierie et Architecture di Ginevra, ha scritto numerosi libri ed è curatore di mostre, in cui affronta i temi del paesaggio in una prospettiva molto ampia. Mercoledì 17 maggio ha tenuto, all’Accademia di Brera, nell’ambito del ciclo di conferenze Human Landscape coordinato dal Prof. Roberto Priod, una bellissima lezione dedicata al paesaggio contemporaneo attraverso una serie di opere artistiche che lo hanno collocato nella evoluzione storica della sua rappresentazione e percezione.  

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Equorea (di mari, ghiacci, nuvole e altre acque ancora) alla Building Gallery di Milano

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Fabio Marullo – Ciò che di misterioso è palpabile – argilla bianca – 2016

La Building Gallery di Milano ha lanciato nel corso del 2018 il progetto BuildingBox, con cui una delle vetrine che affacciano sulla via Monte di Pietà viene destinata periodicamente all’opera di un artista di modo che la stessa sia visibile allo spettatore senza che sia necessario entrare nella Galleria e soprattutto ad ogni ora del giorno e della notte, visto che la vetrina resta permanentemente illuminata. Da Gennaio di quest’anno essa ospita le opere dell’iniziativa Equorea dove 12 tra artiste e artisti italiani, uno per ogni mese dell’anno, presentano, in una formula tra la personale e la collettiva, un lavoro dedicato al tema dell’acqua variamente intesa nel senso di: risorsa necessaria per la nostra vita, mare, oceano, elemento naturale costitutivo della materia di cui è fatto l’universo che, alla luce dei rischi di siccità che corriamo, ha acquisito un nuovo rilievo anche dal punto di vista artistico, anche se, come avevo commentato in un mio precedente articolo su questa rivista, essa non appariva tra i soggetti solitamente trattati dall’arte ambientale. In quell’articolo evidenziavo quattro differenti visioni delle distese d’acqua del globo: 1) museo; 2) luogo del mito e della fantasia: 3) luogo di riscatto politico-sociale; 4) urgenza ambientale.

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Nella foresta a mangrovie di Binta Diaw per ritrovare la libertà

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Binta Diaw, La plage noire, 2022. Ph Antonio Maniscalco, Courtesy the artist and Prometeo Gallery Ida Pisani, Milan-Lucca

L’artista senegalese-italiana Binta Diaw (1995) presenta a Milano, fino al 6 dicembre, alla Galleria Prometeo di Ida Pisani, la mostra La plage noir, una nuova opera in cui sviluppa i temi della libertà e dell’emancipazione in un contesto post-coloniale, già toccati in precedenti esposizioni come Chorus of soil del 2019 e Dïà s p o r a del 2021. Nell’installazione impiega materiali e mezzi espressivi che rappresentano ormai una sua costante: acqua, terra, semi, piante come simboli di rete, rifugio, vita, libertà, connessi idealmente mediante fili annodati a mo’ di trecce, raffigurazione storica e antropologica della condizione delle popolazioni, in particolare femminili, sottoposte al dominio delle potenze coloniali, a cui si uniscono immagini del proprio corpo fotografato in modo da renderlo simile ad un paesaggio naturale, come nella serie Paysages Corporelles series del 2019.

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Le cianotipie polari di Roberto Ghezzi

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THE GREENLAND PROJECT by Roberto Ghezzi

Quest’estate Roberto Ghezzi (Cortona, 1978) ha trascorso un lungo periodo in Groenlandia, presso la RED House di Tasiilaq creata da Roberto Peroni, situata sulla costa orientale dell’isola, per la realizzazione della prima fase del Greenland Project dedicato alla rappresentazione e misurazione del fenomeno dello scioglimento dei ghiacci in cui si è avvalso della collaborazione della cartiera Enrico Magnani Pescia, che ha messo a disposizione le carte fotosensibilizzate e della consulenza scientifica dell’Istituto delle Scienze Polari del CNR per l’analisi dei risultati. Nel 2023 questi saranno esposti al Museo della Carta di Pescia e alla galleria Gilda Contemporary Art di Milano, accompagnati da foto, schizzi e acquerelli dell’ambiente di ricerca e appunti di viaggio. Con la sua ricerca Ghezzi si iscrive tra quegli artisti che vedono uno stretto rapporto tra fenomeni naturali, indagini scientifiche e raffigurazione artistica.

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Figurae e immagini al Premio Michetti 2022

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Il 73° Premio Michetti, (Palazzo San Domenico – Francavilla al Mare – fino al 25 settembre) curato da Nunzio Giustozzi e assegnato all’artista Velasco Vitali (Bellano, 1960) per la sua opera Goldwatch #13, dichiarava fin dal titolo figura, ae l’intenzione di una rassegna dell’arte figurativa italiana contemporanea, affidata alle opere inedite di 13 artisti che, attraverso la presentazione di più lavori (ben 129), fossero in grado di dimostrare, con le proprie soluzioni espressive, il rinnovamento e la vitalità di questo genere artistico. Al contempo, il sottotitolo della rassegna, l’immagine delle immagini, desunto, come ci informa il curatore, da un’epigrafe dannunziana al Corpus Domini di Francesco Paolo Michetti: “E il Corpus Domini era per tutti noi, cercatori irrequieti di un’arte nuova, il Verbo dipinto: era nella nostra chiesa, l’immagine delle immagini”, suonava però come una domanda retorica rivolta al visitatore, se cioè tra quelle esposte, ce ne fosse una capace di rivestire il ruolo superlativo che la rappresentazione della processione realizzata dal Michetti aveva per il Cenacolo francavillese. Altresì, se oggi, sia attribuibile a una qualche opera d’arte il ruolo di supremazia assoluta come in altri momenti è stato possibile. Rimandando alla galleria delle immagini per le opere e i nomi degli artisti partecipanti che vi suggerisco di approfondire sui loro profili social o siti web, cercherò di evidenziare gli aspetti generali della rassegna, lasciando a ognuno di voi il giudizio su quanto presentato.

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Antropocentrico e vegetale nella fotografia di Giovanni Tavano

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Giovanni Tavano, “Mondi Paralleli”, 2010-2020

Giovanni Tavano (Pescara-1954), presenta fino al 3 settembre, nella bella cornice del Museo Laboratorio ex Manifattura Tabacchi di Città Sant’Angelo (PE), Fotografie dal 1977 al 2020, una selezione del suo lavoro storico in b/n sviluppato tra la fine degli anni Settanta e quella degli anni Ottanta e di quello inedito a colori a cui si è dedicato dal 2012 al 2020, su cui mi concentrerò perché attinente al tema di questo blog. Per le tecniche, gli argomenti e i linguaggi impiegati, la mostra è un riassunto anche delle problematiche della fotografia che sono state dibattute in un Talk on photograpy svoltosi l’11 agosto nella stessa sede espositiva a cui hanno partecipato tra gli altri, oltre all’autore e al curatore Enzo De Leonibus, anche i critici Antonio Zimarino e Ivan D’Alberto, i docenti Marco Brandizzi e Franco Fiorillo e i fotografi Paolo Dell’Elce e Jacopo Pasqui.

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SOStenibile: l’impegno della Permanente per l’ambiente

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Mostra SOStenibile- dal 1 al 17 luglio 2022 al Museo della Permanente

È stata inaugurata a Milano il 30 giugno scorso e resterà aperta fino al 17 luglio, la mostra SOStenibile Gli artisti della Permanente per l’Ambiente e la Sostenibilità, riservata ai soci della Società Per Le Belle Arti Ed Esposizione Permanente, con oltre centoquaranta opere, tra pittura, scultura, fotografia e installazioni. L’interesse di un’istituzione prestigiosa come la Permanente per i temi dell’ambiente e della sostenibilità dimostra ormai l’urgenza per una sempre più ampia parte di artisti di confrontarsi con i temi dell’utilizzo delle risorse naturali, del cambiamento climatico e delle minacce ambientali. Sulla Città Vegetale, presentiamo, da alcuni anni, gli esponenti che hanno fatto della tematica ambientale la loro cifra distintiva e un ampliamento di questa compagine non può che trovarci d’accordo, anche se, forse, il titolo della rassegna milanese dà per scontato che la sostenibilità sia la soluzione ai problemi che ci troviamo ad affrontare, limitando in un certo senso l’ambito espressivo degli artisti stessi che, piuttosto, avrebbero potuto essere incoraggiati a denunciare l’insostenibilità del percorso sui cui è avviata l’umanità, stimolando un atteggiamento più critico.

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Quattro visioni dell’oceano e i 50 Mari di Mathieu Lehanneur

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50 Seas 02_Mathieu Lehanneur ©Felipe Ribon (Black Sea – Ukraine – Nota dell’autore)

Quest’anno la Giornata degli Oceani, ricorrente l’8 giugno, si è svolta in concomitanza con la Biennale di Venezia e la Design Week di Milano ed è stata celebrata sia in queste manifestazioni sia in alcuni altri eventi collaterali. Al tempo stesso essa è stata l’occasione per fare il punto sull’oceano e il mare, che qui intendo come sinonimi, come luogo artistico e anche sullo spazio che essi hanno nella trattazione artistica ambientale. Pur essendo deputati alla produzione di ossigeno e di risorse alimentari essi continuano ad essere per noi umani luoghi inospitali, in cui non possiamo vivere e in cui non prevediamo di farlo nei prossimi decenni, mentre stiamo sviluppando il nostro viaggio su Marte, e che anzi sono divenuti minaccianti a causa del rischio dell’innalzamento del loro livello. D’altro canto, l’oceano, come dice la curatrice e storica dell’arte Chus Martinez (1972), è un luogo che racchiude storia e cultura e quindi abilitato ad essere oggetto artistico da vari punti di vista.

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L’antropologia Domestica di Silvia Camporesi

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Silvia Camporesi – Domestica – Other Size Gallery installation view – ph. Nicola Gnesi

Dei periodi di chiusura associati alla pandemia si è detto molto sia dal punto di vista degli effetti sui cittadini che dal punto di vista di quelli sugli artisti.  Per molte famiglie e in particolare per le donne è stato un periodo molto impegnativo, lavorare e vivere in uno spazio ristretto ha messo alla prova le relazioni personali, si è parlato di aumento della violenza domestica, ad esempio, ma ha anche dato spazio a nuove abitudini e tradizioni alimentari come fare il pane. Per gli artisti si è parlato di apatia, difficoltà, occasione di spunti, di riflessione. Silvia Camporesi (Forlì-1973) presenta ora alla Other Size Gallery, fino al 4 marzo, il suo lavoro Domestica in cui, attraverso le fotografie realizzate assieme alle sue due piccole bambine, ci propone un’antropologia della vita domestica.

Durante il lockdown uno degli aspetti certamente più sottolineati era il contrasto interno/esterno. Mentre noi esseri umani eravamo rinchiusi in casa, fuori la natura, vegetale e animale, si riprendeva i suoi spazi ma noi potevamo solo osservarla dall’interno o guardare le immagini che ci venivano riportate. Paradossalmente però, ma non tanto, in questo lavoro di Silvia Camporesi il giardino, di cui pure la casa è dotata, è quasi assente perché quello che è importante è ciò che accade in casa, nello spazio in cui si convive, lo spazio confinato. Qui c’erano una donna, madre-fotografa, due figlie bambine, forse non ancora in età scolare e un cane che hanno reinterpretato lo spazio domestico e creato la propria antropologia domestica.

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Il paesaggio originario di Paolo Dell’Elce

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L’immagine in testata è uno scatto del fotografo Paolo Dell’Elce di cui potete leggere la biografia cliccando sulla foto. A commento della stessa trovate un capitolo del suo scritto “La porta nel paesaggio” , risalente agli anni Novanta, che ritengo sia molto utile come introduzione al suo lavoro (FDF).

Nella mia esperienza artistica ritengo che sia stato fondamentale il luogo in cui sono venuto al mondo.

Sono nato nel terzo giorno di primavera, esattamente al sorgere del sole, con la luce; in una casa modesta in prossimità della spiaggia e ai margini di un’estesa pineta litoranea, all’epoca ancora piuttosto selvaggia. Ho respirato l’aria salmastra del mare e la resina dei pini per tutta la mia infanzia. I ricordi più lontani mi riportano l’immagine scura di una culla nel controluce di una finestra, un riflesso, un bagliore sul pavimento e poi tutto ritorna nel buio.

La mia memoria risale a quella percezione, si muove verso il presente da quel punto. Nasce dalla percezione della luce e del buio. Successivamente ricordo la pineta di notte, un’immensa massa scura interrotta talvolta da piccole luci che mio nonno diceva che fossero gli occhi dei lupi. Poi il mare d’inverno, che vedevo dalla mia finestra, grigio uniforme.

Scrive Attilio Bertolucci: – Le gaggie della mia fanciullezza / dalle fresche foglie che suonano in bocca… / Si cammina per il Cinghio asciutto, / qualche ramo più lungo ci accarezza (…). –  È la rievocazione di un particolare paesaggio: il paesaggio originario, dove ogni suo elemento acquista una valenza fondamentale nella sensibilità del futuro poeta. La gaggia è l’elemento di questo paesaggio che ritroveremo, immancabile, in tante sue liriche.

Rievocare nel ricordo questo paesaggio, significa rievocare la nascita, quel momento lontano in cui si è vissuti “come in un caldo sogno”.

Nel mio lavoro fotografico ho rievocato i luoghi della mia nascita, identificando gli elementi del mio Paesaggio originario. Tutta la mia esperienza estetica sembra ricondurmi a certi soggetti del paesaggio che si manifestano in un forte controluce come segno o massa scura; chiome di pini, tronchi d’albero che si stagliano su uno sfondo luminoso uniforme, Sylvia Plath scrive: – Neri sono gli alberi della memoria… –.

Spesso mi chiedono perché fotografo sempre gli alberi. Mi è sempre difficile rispondere con parole pronte e vorrei parlare a lungo della grande bellezza di un albero, della sua presenza; la sua astanza. L’albero sta e si pensa. La sua vita apparentemente immobile mi assorbe e mi trasmette la percezione di un ritmo differente da tutta la realtà circostante.

L’albero diventa un’isola; forse una porta, il custode vivente del Tempo. L’immagine nera degli alberi nel paesaggio mi partecipa il senso di una solitudine cosmica; la sofferenza, il dolore del mondo, ma anche un’intima sensazione della bellezza assoluta e ineffabile. La nera purezza di queste forme ha strutturato il mio spazio spirituale donandomi il conforto di una consapevolezza esistenziale, come quando di notte, camminando soli per una strada deserta, nel silenzio, improvvisamente ci accorgiamo del suono dei nostri passi; quel suono ci rivela a noi stessi e da quel momento ci accompagnerà nel nostro cammino.

Il Paesaggio originario è il luogo primordiale, ma anche immagine primordiale, è lo spazio nascente che si origina con l’uomo, ma che serba il sapore di una “nostalgia senza oggetto” e il sentimento numinoso di una preesistenza.