Pratica ambientale e Arte dell’Osservatorio la Goccia

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Osservatorio la Goccia -Cromatografie dei terreni del Bosco della Goccia

A Milano, nelle giornate del 5 e 6 Aprile, nel corso della manifestazione Bovisa Art District (BAD), l’Associazione Terrapreta (in portoghese Terra Scura) ha presentato allo spazio LUAR i risultati della sua attività di laboratorio sulla Foresta (o Bosco) della Goccia, il grande spazio che si estende alle spalle dei gasometri delle storiche officine del gas della Bovisa e che a seguito dell’abbandono di queste aree industriali si è man mano popolato di alberi e vegetali che costituiscono una grande area sperimentale sulle tecniche di bonifica di questo tipo di siti. Al tempo stesso, le modalità con cui i risultati sono stati rappresentati costituiscono una interessante unione tra pratica ambientale, attività scientifica e arte e un esempio interessante delle modalità con cui queste possono intrecciarsi e essere rese fruibili al pubblico, richiamando alla memoria artiste come Marzia Migliora, Barbara De Ponti, Margherita Morgantin e artisti come Eugenio Tibaldi e Roberto Ghezzi, solo per citare alcuni di cui abbiamo parlato sulla Città Vegetale.

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Chiara Camoni chiama a raduno miti, storia e natura all’Hangar Bicocca di Milano

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Chiara Camoni – Sister, 2022 – Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca – Milano, 2024
Prodotta da Biennale Gherdëina – Courtesy l’artista; SpazioA, Pistoia e Pirelli HangarBicocca, Milano -Foto Agostino Osio

Non sono molti gli artisti italiani ospitati al Pirelli Hangar Bicocca dalla sua fondazione ad oggi e i loro nomi si contano sulle dita di due mani. Tra i moderni Lucio Fontana e Mario Merz e tra i contemporanei Maurizio Cattelan, Giorgio Andreotta Calò, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, Gian Maria Tosatti e l’italo-tedesca Rosa Barba. La mostra dedicata a Chiara Camoni (Piacenza, 1974), a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli in corso fino al 21/07/2024, pone quest’artista, ancora poco nota al grande pubblico italiano, al livello dei grandi nomi finora presentati all’Hangar.

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Le soluzioni circolari di Luca Locatelli in mostra a Torino

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Ice Cave – Vatnajökull, Islanda, 2022 © Luca Locatelli

Fino al 18 febbraio 2024 alle Gallerie d’Italia di Torino si può visitare la mostra “LUCA LOCATELLI. THE CIRCLE. Soluzioni per un futuro possibile” a cura di Elisa Medde. Luca Locatelli (Pavia, 1971) ha vinto nel 2020 il primo premio del prestigioso World Press Photo nella sezione Environment Stories e ha passato molti anni a documentare e ricercare le esperienze più significative nell’ambito della “economia circolare”. L’esposizione è il risultato dell’indagine svolta per conto di Intesa Sanpaolo con cui il fotografo italiano ha viaggiato negli ultimi due anni attraverso l’Europa alla ricerca di pratiche e storie emblematiche e replicabili che aprissero il dibattito sulla transizione ecologica e sullo stato del pianeta.

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Il sogno alchemico affiora ancora nella lavorazione dei metalli della De Castelli  

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De Castelli-Biomorphic-PH Alberto Parise

Un lungo filo lega l’evoluzione dei metalli nella nostra storia, percorsa dal mito di Vulcano (Efesto per i Greci), dai bui laboratori dei fabbri, passando per quelli degli alchimisti, fino agli show room alla moda dei nostri giorni. È una storia che riguarda il loro colore e la loro forma, perché i processi di lavorazione abbracciano questi due aspetti. Anche gli artisti hanno contribuito allo sviluppo del loro impiego, sicuramente con le loro sculture o con le matrici grafiche ma anche immaginandone i volumi, le texture, i colori che essi potevano assumere. 

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Le sculture spaziali di Clodoveo Masciarelli

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Clodoveo Masciarelli – Profondo Cielo (particolare) – Acciaio forgiato e Portoro – 2011

Cresciuto tra i metalli della bottega paterna, Clodoveo Masciarelli (Atri – 1955), percorre lo spazio alla ricerca della loro origine. Singolare figura di medico, astrofilo, artista, ha articolato la sua espressione in sculture, gioielli, calcografie in cui viaggiano, collassano, raffreddano, solidificano e imprimono i fenomeni spaziali. Forme verticali sono lì a ricordarci una base di lancio, il movimento che consente di lasciare il nostro pianeta e di viaggiare nel cosmo mentre quelle circolari rappresentano i corpi celesti e i loro ammassi e i segni impressi su di esse, il risultato delle nostre vicende terrestri osservate dall’alto. Formidabili sintesi della condizione umana perché spazio ed astri sono il luogo onirico dove si possono collocare desideri, fantasie e speranze ma anche dove il tempo è già trascorso, al punto che sappiamo già come eventi che si sono prodotti ad anni luce di distanza, influenzeranno il nostro futuro. La grande abilità nel manipolare i metalli, acquisita in una lunga formazione fin dalla prima infanzia, crea l’impressione che i suoi volumi siano in equilibrio, che ruotino e si muovano. La scultura in metallo resta con Masciarelli attività Vulcanica, nel senso mitologico del termine, in cui i minerali sono sottoposti, tramite il calore della forgia e l’incontro/scontro con martello, incudine e maglio , a un’imitazione dei processi astrali avvenuti nel passato e che da qualche parte dell’universo continuano ancora a prodursi. Anche le lastre calcografiche sono create con lo sbalzo e il cesello e il risultato grafico è una riproduzione del lavoro scultoreo avvenuto mentre le fusioni vengono riservate solo ai gioielli.

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Enrico Minguzzi alla sfida della “natura morta”

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Alla Nuova Galleria Morone di Milano, Enrico Minguzzi (Cotignola-1981) con la mostra Fluoritura, riporta in auge il genere artistico della natura morta, in voga in Europa nel Sei-Settecento e che ha avuto come ultimo grande rappresentante italiano Giorgio Morandi. Lo fa in forme nuove, anche se classicheggianti: nuovi sono gli oggetti “naturali” che dispone al centro della scena su alzatine o vasi appoggiati su un piano, nuovo il colore predominante, un grigio in varie tonalità, nuovo anche il legame tra l’oggetto dipinto e la natura da cui proviene che troviamo raffigurata in alcuni quadri esposti.

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Luca Petti e il destino simbiotico dei viventi

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Incontri sensibili, opere di Luca Petti, installation view, Maggio-Luglio_VillaContemporanea_Monza

Quale sarà il destino del nostro pianeta e cosa accadrà ai tre regni della natura, a minerali, vegetali, animali? Attorno a questi temi lavora da alcuni anni un giovane artista, Luca Petti (Benevento, 1990), attualmente presente alla Galleria Villa Contemporanea di Monza, nell’ambito della mostra Incontri sensibili. Lavorando su coppie di viventi, unite di volta in volta a rappresentare da un lato l’opposizione e dall’altro la necessità di collaborazione tra minerale e vegetale, tra animale e minerale e tra vegetale e animale, Luca Petti descrive un futuro in cui la relazione simbiotica propria degli elementi naturali, anche se messa in forse dall’azione dell’essere umano con lo sviluppo della monocultura, il perfezionamento genetico, l’uso dei pesticidi e degli antibiotici si riafferma come unica soluzione possibile, nonostante proceda su un binario soggetto a oscillazioni.

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“Lo spettro di Malthus” inquieta ancora Marzia Migliora

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Marzia Migliora, La gabbia, 2019-2020. Elementi in ferro e legno, paglia, paraocchi, scatola per diorami, blocco di sale inciso, ferro e coda di cavallo, 265 x 300 x 300 cm. Foto di Renato Ghiazza. Courtesy: dell’artista; Museo MA*GA.

Al Museo MAGA di Gallarate, fino al 10 marzo(salvo ulteriori restrizioni), sarà possibile visitare la mostra di Marzia Migliora(Alessandria-1972), Lo spettro di Malthus, che consiglio di visitare per almeno tre motivi: affronta l’argomento della disponibilità delle risorse alimentari che spesso diamo per scontata; contiene poche opere che richiedono tempo per essere viste e assorbite, grazie anche a un bell’opuscolo con foto e contributi utili alla riflessione successiva; l’ingresso gratuito che assorbe le spese di viaggio che potreste dover sostenere per raggiungere il museo. L’artista conosce il tema del cibo e delle risorse alimentari di cui si era già occupata in altri lavori. Figlia di agricoltori, ha vissuto l’infanzia in una casa circondata da coltivazioni e popolata di animali. “La vita contadina, la cura della terra e la determinazione delle specie vegetali, credo che abbiano formato il mio sguardo d’artista”, dice di sé stessa.

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Silvia Infranco fa affiorare le tracce della memoria del mondo

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Porifera-metaforma V, Ctenactis-metaforma I, Ctenactis-metaforma II installation view, “TEMPUS DEFLUIT IMAGO LATET (perchè non voglio dimenticare), Marignana Arte, Venezia, curata da Marina Dacci (ph. Enrico Fiorese)

La scrittrice Anne Wiener nel libro “La valle oscura” (Adelphi, 2020 – traduzione di Milena Zemira Ciccimarra), dedicato alla sua esperienza di lavoro nella Silicon Valley, ci parla del “fardello psicologico comune a tutte le persone che lavoravano in ambito tecnologico, e soprattutto a quelli di noi che creavano un prodotto che esisteva solo nel cloud…”, peso causato dalla “consapevolezza che tutto il software era esposto in ogni momento alla cancellazione”. Per reazione “Metà dei programmatori tra i ventidue e i quarant’anni che conoscevo, per lo più uomini, stavano scoprendo che le loro dita erano multiuso. «Mi sento così bene quando faccio qualcosa con le mani» dicevano, prima di lanciarsi in monologhi sui lavori di falegnameria, sulla birra fatta in casa o sul pane al lievito madre.” Nel frattempo “Le società tecnologiche erano lì in agguato, pronte a diventare la biblioteca, la memoria, la personalità di ognuno”.  

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Riflettere sul tempo: l’arte di Sophie Ko

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Sophie Ko – Geografia Temporale. I figli di Medea- 2019

Sophie Ko (Tbilisi–1981), vive e lavora a Milano, dove si era trasferita per frequentare il biennio di specializzazione all’Accademia di Brera, dopo aver conseguito il diploma all’Accademia di Belle Arti di Tiblisi. Avevo visto la sua ultima mostra, “Atti di resistenza” alla Galleria Building, a febbraio di quest’anno, che mi era piaciuta molto per i materiali e i colori impiegati: polveri di tonalità rinascimentale, oro, ali di farfalle, anche se non ne avevo compreso appieno il significato. Per descrivere brevemente le sue opere, senza rendere loro giustizia, posso dire che esse consistono, nella maggior parte dei casi, in grandi teche che contengono ceneri o pigmenti colorati, a volte sovrapposti, che nel momento in cui vengono issate in posizione verticale, subiscono l’azione della forza di gravità che produce effetti fisici: crepe, rotture, cedimenti e cromatici, in continuo cambiamento. L’intento di Sophie Ko non è però solo estetico; le sue opere sono la rappresentazione di un obiettivo e di un pensiero complessi: dare forma visibile al tempo e quindi al moto incessante della vita e della morte.

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