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Corrado Bove ha presentato a The Open Box di Milano, in collaborazione con la Galleria d’Arte De Chirico, la mostra Infinito Indefinito Ignoto, curata da Gaspare Luigi Marcone, punto di arrivo della ricerca che porta avanti da anni, di progressiva smaterializzazione della scultura, oggi trasformata in punti, pixel fotografici, per poterne penetrare la struttura e giungere a farne pura visione. Nato a Bergamo da genitori pugliesi nel 1974, dopo alcuni anni si trasferisce a Corato (BA) dove frequenta l’Istituto d’Arte e si diploma in metalli e oreficeria. Frequenta poi l’Accademia di Belle Arti di Bari nella sezione scultura senza però terminarla. Abituato da sempre a lavorare con diversi materiali ha portato avanti negli anni un percorso tra due poli, tra l’artigianato artistico, il restauro, il design e l’arte, uno più materiale è più necessario alla sopravvivenza ed uno più immateriale in cui si esprime questa sua pulsione ad andare al di là della materia.
Il rapporto di Corrado Bove con la materia è un rapporto complesso perché mi dice “la materia ti consuma proprio fisicamente. Per un periodo ho lavorato come fabbro e mi rendevo conto che lavorare lì significava consumarsi perché era faticoso, perché ti bruciava, perché ti consumava e ti affaticava e ti faceva invecchiare prima. E poi c’è la questione legata a quello che la materia ti spinge a fare per ottenerla con tutto quello che ne viene dietro”.
Nei primi anni impiega il legno, la pietra, il ferro e poi dai primi anni del Duemila sente l’esigenza di andare oltre la scultura classica, quella fatta di materiale compatto e di lavorare con la rete metallica, “perché volevo appunto andare oltre la scultura, volevo parlare di altro, volevo alleggerirmi, lavorare con la luce, con le ombre e con lo spazio”. Quindi negli anni successivi impiega la rete metallica e per alcuni anni queste opere sono state sempre installate o presentate sospese con un filo di nylon trasparente, perché potessero proiettare la loro ombra in movimento in quanto bastava dargli un tocco, usare un ventilatore nella stanza e queste opere iniziavano a ruotare molto lentamente e prendevano forme diverse, attraverso la proiezione dell’ombra sulla parete o su dei pannelli o dei tessuti bianchi, mostrando soltanto la sua proiezione. In questo modo la scultura lasciava la terra per elevarsi e per assentarsi attraverso la luce e bastava cambiare punto di osservazione e l’opera cambiava all’infinito.
Per le sculture di rete partiva da fogli di rete solitamente rettangolari o quadrati e li modellava e li cuciva togliendo alcuni fili e gli dava forma senza mai disegnarla prima. Guardandole sembrano voli di stormi di uccelli, forme estremamente plastiche che si muovono, fasci di onde realizzate mediante un computer, quasi delle visualizzazioni di formule matematiche ma Corrado confessa di essere uno di quelli che il computer lo conosce veramente poco e anche la tecnologia la usa molto poco, rispetto ad altri della sua età. Avrebbe voluto farle sempre più grandi per poterci entrare dentro, stare nella materia, osservarla dall’interno senza esserne oppresso.
Nell’ultimo periodo ha iniziato a utilizzare le fotografie che ha scattato negli anni di queste opere con diverse fonti luminose, con diversi sfondi e le loro ombre e attraverso la post-produzione di queste ha realizzato le opere esposte nella mostra milanese. Nel loro apparire come ammassi di punti e quindi alla pari di nebulose esse sono espressione di un desiderio dello spazio, dello spazio oltre la terra, quello spazio fisico in cui non sappiamo cosa c’è e forse in qualche maniera lo ha rappresentato perché quello sfondo nero totale lascia questa sensazione dell’infinito e dell’invisibile, che è un po’ diciamo l’opposto di quello che fa uno scultore perché usa la materia e la manipola. “Quanto più si va in profondità si vede che la bellezza è questa, non c’è nulla di definito, è tutto in divenire, tutto in trasformazione e mi piace moltissimo anche pensare alle cose che noi non vediamo ma stanno accanto a noi anche se non le vediamo con i nostri sensi, questa contemporaneità della presenza e assenza”.
Anche quell’idea di entrare dentro la scultura e di starci dentro, di vederla e di viverla dall’interno e di e di farne parte a tutti gli effetti, quindi, è “la manifestazione della mia esigenza di essere totalmente unito al tutto e quindi allo spazio e all’infinito e di vivere oltre il corpo fisico e la vita materiale, oggi attraverso la scultura e l’arte perché non ho altra maniera per farlo al momento”. Con gli ingrandimenti delle foto noi umani diveniamo piccoli e abbiamo l’impressione di penetrare all’interno degli oggetti e di scoprirne i recessi.
La progressiva smaterializzazione della scultura di Corrado Bove diviene quindi espressione di un anelito a staccarsi dalle cose materiali, dalla terra e a stare in più di una dimensione così come sospendendole anche lui, a un certo punto, si è sospeso o comunque si è alzato verso delle forme che rappresentavano qualcosa di immateriale che potevano essere fasci di luci, di pulviscolo, di qualcosa che comunque è oltre lo spazio.
Certo, la fotografia trasforma questa materia in qualcosa di incorporeo anche se poi la stampa su un supporto fisico può essere un visto come un limite per cui sarà interessante capire in che direzione si spingerà la scultura immateriale di Corrado Bove.
The immaterial sculpture of Corrado Bove
Corrado Bove presented at The Open Box Gallery in Milan the exhibition Infinito Indefinito Ignoto, the point of arrival of the research that he has been carrying out for years, of progressive dematerialization of sculpture, now transformed into points, photo pixels, to be able to penetrate the structure and get to make pure vision.