“Lo spettro di Malthus” inquieta ancora Marzia Migliora


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Marzia Migliora, La gabbia, 2019-2020. Elementi in ferro e legno, paglia, paraocchi, scatola per diorami, blocco di sale inciso, ferro e coda di cavallo, 265 x 300 x 300 cm. Foto di Renato Ghiazza. Courtesy: dell’artista; Museo MA*GA.

Al Museo MAGA di Gallarate, fino al 10 marzo(salvo ulteriori restrizioni), sarà possibile visitare la mostra di Marzia Migliora(Alessandria-1972), Lo spettro di Malthus, che consiglio di visitare per almeno tre motivi: affronta l’argomento della disponibilità delle risorse alimentari che spesso diamo per scontata; contiene poche opere che richiedono tempo per essere viste e assorbite, grazie anche a un bell’opuscolo con foto e contributi utili alla riflessione successiva; l’ingresso gratuito che assorbe le spese di viaggio che potreste dover sostenere per raggiungere il museo. L’artista conosce il tema del cibo e delle risorse alimentari di cui si era già occupata in altri lavori. Figlia di agricoltori, ha vissuto l’infanzia in una casa circondata da coltivazioni e popolata di animali. “La vita contadina, la cura della terra e la determinazione delle specie vegetali, credo che abbiano formato il mio sguardo d’artista”, dice di sé stessa.

Thomas Robert Malthus (1766-1834), di cui si parla nel titolo dell’esposizione, fu un pastore anglicano e uno dei fondatori dell’economia politica, noto soprattutto per aver pubblicato nel 1798, il “Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società”. In questo affermava che, mentre le risorse alimentari crescevano con una progressione aritmetica, la crescita della popolazione seguiva una progressione geometrica e che tra queste due grandezze esisteva un’interferenza reciproca. La disponibilità delle risorse alimentari, associata al progresso economico, migliorava le condizioni della popolazione favorendo l’aumento delle nascite ma queste, crescendo più rapidamente delle prime, avrebbero portato presto ad una loro insufficienza e quindi ad una crisi. Il riequilibrio era possibile solo grazie a guerre e malattie e al controllo dei costumi. In particolare, andavano evitati gli interventi tesi a ridurre la povertà perché la conseguenza sarebbe stata un aumento della natalità e dei consumi alimentari. Il saggio ebbe una grande influenza perché coglieva in maniera profetica alcuni dei grandi temi associati alla rivoluzione industriale ed è ancora oggi di grande attualità.

Il tempo ha dimostrato che le profezie di Malthus non si sono avverate. La Rivoluzione verde in agricoltura ha consentito di soddisfare la rapida crescita della popolazione, oggi arrivata a oltre sette miliardi, mentre nel lungo periodo la crescita economica e il cambiamento degli stili di vita hanno portato a una diminuzione del suo tasso di crescita con la crisi della natalità che è sotto i nostri occhi. Per molto tempo malthusiano e malthusianesimo hanno rappresentato quasi degli insulti rivolti a chi dubitava delle sorti progressive della società, ma a partire dagli anni Settanta, dopo il rapporto del Club di Roma su “I limiti dello sviluppo”, le sue idee hanno finito invece per assumere una valenza positiva, al punto che il pensiero di Malthus, applicato alle risorse ambientali, può essere considerato alla base dell’ecologismo. Il suo spettro, quindi, agita ancora il nostro futuro.

Le opere di Marzia Migliora rappresentano il tentativo, certo riuscito, di sintetizzare il grande affresco storico, economico e sociale del mito dello sviluppo e dei suoi limiti. All’ingresso della mostra ci accoglie Prey (Preda), una grande teca vittoriana in cui si trova un blocco di salgemma, proveniente dalle cave siciliane di Petralia e Racalmuto, la cui età può essere stimata in sei milioni di anni, con infisso un arpione di quelli utilizzati per la caccia alle balene. Il sale impiegato come alimento e come salario è al centro della mostra, sia per essere alla base delle politiche coloniali, che si trovano narrate nel bel saggio del chimico francese Pierre Laszlo contenuto nell’opuscolo, sia per essere simbolo del lavoro. Dopo aver superato una tenda stampata con una rete per la caccia alla lepre, su cui sono riportate le curve che illustrano l’andamento delle risorse alimentari e della popolazione fino al 2100, si accede alla seconda opera, Gabbia. Qui ci si trova all’interno di un box per equini, simbolo dell’allevamento animale, in cui sono state realizzate solo alcune delle componenti anatomiche di un cavallo, la testa e la coda. Riempiendo lo spazio mancante e appoggiandosi alla testa del cavallo si accede a un visore monoculare che permette di immergersi in un diorama fantasmagorico creato dall’artista, realizzato con immagini tratte da banconote di tutto il mondo che celebrano momenti del progresso.

Proseguendo, si giunge ai Paradossi dell’abbondanza dove tre carrelli, di quelli impiegati nei servizi di ristorazione, sono collocati su della terra. Sui ripiani sono inseriti ventinove vassoi con dei collage che descrivono scene immaginarie della vita agricola e di quella dei contadini e delle loro famiglie, in cui il contrasto tra i colori e le forme della natura si mescola con la durezza della loro vita di braccianti o di stagionali.

Si arriva infine all’ultima opera, un filmato visibile indossando un visore VR, dopo essersi seduti all’interno di una vasca di sale. Nel film si scende all’interno delle miniere di sale dove, con animazioni fantastiche, accostabili a quelle di Alice nel paese delle meraviglie, sono rappresentate le fasi dell’affermazione dell’agricoltura industriale. Qui, esseri umani spargono concimi per ottenere la crescita rapida dei vegetali fino a quando se ne verifica la decrescita, che viene accostata all’estrazione delle risorse dal sottosuolo. Il sonoro del video è composto da suoni prodotti dall’artista masticando e ingoiando vari cibi (ASMR).

Come dicevo in apertura, la visita è accompagnata da un opuscolo, con i contributi di Marco Lucchetti, curatore del progetto, Vandana Shiva, Pierre Laszlo, Tom Standage, Emanuele Coccia e un’intervista a Marzia Migliora. In questa l’artista dice che le sue opere “nascono da un fastidio, da qualche cosa che ci accade, da un problema che non posso risolvere materialmente…Lo spettro di Malthus ha come centro il rapporto con il sistema economico nel quale siamo inseriti…la storia a noi comune…il pianeta che abitiamo e il cibo che mangiamo e di conseguenza l’eredità che consegneremo a chi abiterà questo mondo dopo di noi.” Da questo punto di vista, anche se la realtà dell’agricoltura mondiale è profondamente diversa da stato a stato e almeno a livello italiano ed europeo, si è modificata profondamente grazie ai fondi della PAC (Politica Agricola Comunitaria), la mostra costituisce un potente stimolo alla riflessione. Anche se non è più la fertilità delle terre a preoccuparci ma quella della popolazione assieme al suo invecchiamento, la diminuzione della biodiversità dovuta alle nuove tecniche di coltivazione, la dipendenza degli agricoltori dalle industrie sementiere multinazionali, le rivolte del pane e il suicidio dei contadini poveri in numerosi paesi del mondo, ci ricordano che lo Spettro di Malthus è sempre in agguato e quindi bene ha fatto Marzia Migliora a rappresentarlo con la sua arte.

  • Marzia Migliora, Lo spettro di Malthus, 2020. Video installazione di realtà virtuale, suono ASMR, colore, animazione, 4’30’’, dispositivo Oculus, sale, sgabello, vasca, ø 250 cm. Foto di Renato Ghiazza. Courtesy: dell’artista; Museo MA*GA.
  • Marzia Migliora, Paradossi dell’abbondanza #29, 2017/2020. Disegno, collage e tecnica mista su carta, 42 x 29 cm. Courtesy: dell’artista; Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli, Milano / Napoli
  • Marzia Migliora, Paradossi dell’abbondanza, 2020. 24 disegni, tecnica mista e collage 42 x 29 cm, 3 carrelli da mensa, vassoi, vetri, vasca, terra, ø 300 cm. Foto di Renato Ghiazza. Courtesy: dell’artista; Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli, Milano / Napoli
  • Marzia Migliora, Lo spettro di Malthus, 2020. Frame video, video in realtà virtuale, suono ASMR, colore, animazione, 4’30’’. Courtesy: dell’artista; Museo MA*GA
  • Marzia Migliora, Prey, 2020. Blocco di salgemma, arpione, corda, teca vittoriana, 290 x 193 x 84 cm. Foto di Renato Ghiazza. Courtesy: dell’artista; Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli, Milano / Napoli.
  • Marzia Migliora, La gabbia, 2019-2020. Elementi in ferro e legno, paglia, paraocchi, scatola per diorami, blocco di sale inciso, ferro e coda di cavallo, 265 x 300 x 300 cm. Foto di Renato Ghiazza. Courtesy: dell’artista; Museo MA*GA.

Abstract

At the MAGA Museum of Gallarate (VA), until March 10, is held the exhibition of Marzia Migliora (Alexandria-1972), “The spectrum of Malthus”. It “has as its center the relationship with the economic system in which we are inserted… the history common to us… The planet we inhabit, and the food we eat, and therefore the inheritance we will give to those who inhabit this world after us.” The visit is accompanied by a beautiful brochure with contributions by Marco Lucchetti, curator of the project, Vandana Shiva, Pierre Laszlo, Tom Standage, Emanuele Coccia and an interview with the artist.


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