Il Tempo Perso di Gonzalo Borondo


(Tempo di lettura 6 minuti)
Gonzalo Borondo – Tempo Perso – ph Roberto Conte

Consiglio vivamente la visita alla mostra Tempo Perso di Gonzalo Borondo (Segovia, 1989) in corso alla Galleria Tempesta di Milano fino al 1° marzo 2024, il cui titolo va inteso nell’accezione di tempo storico e cioè perduto, trascorso, che ha a che fare con la memoria individuale e collettiva, con l’identità di persone e popoli, con la storia, con ciò che in queste non è più visibile, non è più presente perché mescolato con altri tempi, altri ricordi, altre memorie. Affacciatosi sulla scena artistica come street artist con capacità e peculiarità tutte sue, egli unisce la capacità di controllo scenografica dello spazio a una intensa ricerca sui luoghi, sulle architetture e quindi sul tempo che le opere degli uomini rappresentano. In un momento in cui tutti parlano di ambiente ci ricorda che lo spazio che ci circonda è definito storicamente.

Nonostante il nostro presente sia caratterizzato da immagini sempre più temporanee che tendono ad annullarsi tra di loro come in una nuova iconoclastia, la discussione attorno a monumenti e segni e quindi sull’arte, in cui si è sintetizzato un giudizio storico su una figura politica, scientifica o sociale, si è fatta sempre più accesa. Inoltre, dobbiamo constatare l’assenza di nuove opere artistiche realizzate proprio a celebrazione e ricordo dei fatti più recenti, non solo per motivi di mancanza di fondi ma per l’impossibilità di un accordo politico culturale. Tutto ciò riguarda il discorso attorno alla possibilità di una memoria condivisa che proprio per il paese da cui Borondo proviene, la Spagna e quello in cui lavora più spesso, l’Italia, appare come un tema critico e soprattutto per noi italiani difficile da affrontare, in particolare per ciò che riguarda il fascismo, la Seconda guerra mondiale e il secondo dopoguerra. Anche se la Storia la fanno i vincitori non si può eliminare ciò che resta in fondo all’animo dei vinti.

Il tema della memoria dei fatti storici è apparso essere un tema più di competenza di critici e letterati che hanno indagato l’impossibilità di una memoria condivisa a partire da traumi collettivi. Winfried Georg Sebald (1944-2001) nel suo libro Storia naturale della distruzione affronta l’incapacità degli scrittori tedeschi di mettere per iscritto quello che avevano visto dei bombardamenti alleati che avevano distrutto in maniera sistematica Amburgo, Dresda e altre città mentre la reazione naturale era quella di tacere e di volgere gli occhi altrove ma anche quella del popolo tedesco di valutare fino in fondo quello che era accaduto. Dall’altro lato per lo storico dell’arte e filosofo Georges Didi Uberman (1953) l’immagine è ciò che sopravvive, ciò che resta di un incendio, dei tanti roghi in cui sono finiti libri e biblioteche per cui il tempo non può essere rappresentato dalle immagini ma dalla loro fine. Per quanto riguarda gli artisti sono soprattutto quelli provenienti da paesi in cui si sono verificati processi di decolonizzazione ad essersi occupati del tema della ricostruzione della memoria, in modo da ricollocare la propria identità nazionale in una prospettiva corretta.

Oggi la memoria storica appare essere messa in crisi dall’atteggiamento iconoclasta della cancel culture, con cui si pretende di poter riscrivere la storia eliminando le rappresentazioni di alcuni personaggi o mettendone in evidenza solo alcuni aspetti in una nuova Damnatio memoriae, la pratica storica attraverso la quale una persona, solitamente un individuo potente o una figura pubblica, veniva deliberatamente cancellata dalla vita collettiva attraverso la rimozione di immagini, iscrizioni e ogni altra menzione. Intendiamoci, anche il mondo dell’arte si interroga oggi in una prospettiva di genere o etnica ma occorre capire se effettivamente una valutazione condivisa sia possibile attorno ad alcuni fatti particolarmente divisivi o se ciò sia solo un auspicio.

Di tutto ciò si fa interprete Gonzalo Borondo con la sua installazione site specific realizzata nella Galleria Tempesta. Un tema difficile che è riuscito a portare a termine anche sulla scorta di precedenti realizzazioni, delle quali la più significativa è probabilmente Hereditas del 2021, in cui impiegava già una serie di soluzioni adottate anche a Milano. In effetti i mezzi impiegati appaiono particolarmente significativi e indovinati e mescolano disegno, pittura, grafica, fotografia, video, riuscendo a ricreare l’effetto della memoria: sfocata, fratturata, sovrapposta, cangiante.

L’installazione inizia prima ancora di entrare in galleria attraverso una teca posta in alto accanto all’ingresso, dove un’immagine si compone grazie all’effetto creato dalla luce intermittente su pannelli di vetro sui quali sono state impresse parti della stessa.

Gonzalo Borondo – Tempo Perso – ph Roberto Conte

Accedendo si avverte subito la musica creata appositamente da Francesco Venturino per ciascuno degli spazi espositivi accompagna ritmicamente la visita. Sulla sinistra, una grande scritta appare sul muro come memento delle condizioni dei ricordi condivisi: “Si elogiano i conflitti laddove si trovano le tombe senza corpi, i corpi senza ossa, le idee morte senza battaglie vive. Le bandiere in aria festeggiano un’apparente vittoria contro il transito e pensano di aver trovato una gloria che non verrà mai vissuta”.

Gonzalo Borondo – Tempo Perso – ph Roberto Conte

Di fronte, una lastra di vetro apposta sulla foto di un monumento equestre, visibile in apertura di questo articolo, è stata martellata in modo da riprodurne il profilo così da voler significare proprio l’attività di distruzione e ricostruzione di queste rappresentazioni.

Gonzaalo Borondo-Tempo Perso-ph Roberto Conte

Al centro della stanza quattro grandi reti su cui sono state impresse scene di quadri del pittore e incisore italiano Antonio Tempesta (1555-1630) che osservate tutte assieme producono un effetto di sovrapposizione di immagini e di ricordi tipico della memoria, diverso da quello che si otterrebbe esaminandole una ad una, ci introducono alla seconda parte dell’esposizione.

Sulla parete di fondo si trovano una serie di quadri realizzati sovrapponendo due lastre su cui sono stati incise due figure illuminate alternativamente. Con queste il nostro artista rievoca il lavoro di restauratore di suo padre che per l’appunto aveva ritrovato una serie di sculture distrutte durante la guerra civile e che aveva poi riportato in un magazzino e man mano ricomposte.

Gonzalo Borondo-Tempo Perso-ph Roberto Conte

Nel passaggio dal primo al secondo piano si trova un’installazione video in cui diverse immagini in successione ci mostrano la costruzione di una colonna facendoci al tempo stesso percepire la scritta che per un attimo compare sulla stessa. Infine, salendo al secondo piano troviamo l’ultima installazione della mostra che consiste anch’essa in una serie di lastre di vetro su cui sono state incise parti di un’immagine che brucia e che illuminandosi man mano forniscono l’impressione di un rogo che sta avviluppando una scultura.

Gonzalo Borondo -Tempo Perso-ph Roberto Conte

Lavoro importante e attuale quello di Borondo che affronta un tema strutturale e fondante della dimensione collettiva senza il quale la considerazione di tutti gli altri aspetti corre il rischio di essere parziale e fallace perché impossibile da collocare in una prospettiva storica.

Gonzalo Borondo’s Lost Time.

I highly recommend a visit to the exhibition Tempo Perso by Gonzalo Borondo (Segovia, 1989) in progress at the Galleria Tempesta in Milan until 1 March 2024, whose title is understood in the sense of historical time and that is lost, past, which has to do with individual and collective memory, with the identity of people and peoples, with history, with what in these is no longer visible, is no longer present because mixed with other times, other memories, other memories. At a time when everyone is talking about the environment, it reminds us that the space around us is historically defined.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *