La ricerca urbano-vegetale di Maura Tacchinardi  

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Maura Tacchinardi – INCOLTO Rorschach, immagine digitale da ricamo, dimensioni variabili, 2023

Il lavoro di Maura Tacchinardi (Milano 1973) può essere definito inizialmente come realismo urbano-vegetale perché indissolubilmente legato alla città, alle sue periferie, alla vita delle persone che vi abitano, agli spazi di vegetazione che residuano, alle condizioni che rendono possibile vivere in un luogo facendone un’isola. La sua indagine di tipo sociale e antropologico, si fonda sulla convinzione che l’esperienza artistica debba consistere in un’attività trasformativa alchemica basata sulla relazione umana. Nel corso di quella ha accumulato testimonianze, relazioni, ricordi restituiti attraverso testi, fotografie, disegni, ricami, dipinti, che oggi evolvono nella messa a punto di un nuovo segno espressivo. 

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Pietro Ruffo disegna le mappe della libertà

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Oietro Ruffo -World Spring – 2012 – watercolour, acrylic and cutouts on geographical map – 160 x 205 x 10 cm (with frame) (

Pietro Ruffo (Roma-1978) mi confida che le carte geografiche provocano in noi la sensazione di poter abbracciare e contemplare uno spazio e un tempo enormi senza soffrire, portandoci ad uno stato divino, cioè senza nessuna delle preoccupazioni legate alla situazione della natura o della società a cui noi invece soggiacciamo nella nostra vita, con la comodità di uno studioso e non l’angoscia di chi ha vissuto delle esperienze terrene. Forse è per questo che lui le ha scelte come mezzo di espressione della sua attività artistica, concentrata attorno alla rappresentazione dei grandi drammi che l’umanità si trova ad affrontare. Il tema principale con cui si confronta fin dall’inizio della sua carriera è quello della libertà, su cui ha a lungo riflettuto, adottando il punto di vista del filosofo Isaiah Berlin ( Riga-1909- Oxford-1997). Artista dotato di grandi capacità di artigiano e di disegnatore, sa creare bellezza ed ha al suo attivo anche una lunga collaborazione con la Maison Dior dove è stato chiamato dalla sua direttrice creativa Maria Grazia Chiuri. Il 14 marzo la Galleria Lorcan O’Neill ha inaugurato a Roma la sua personale, Il giardino planetario.

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Nel bosco di Dacia Manto animali e piante agiscono su di noi

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Dacia Manto-Nebulosa#16-Red Lab Gallery-2021

Walden, il bosco in cui il filosofo Henri David Thoreau (1817-1862), si ritirò a vivere per 26 mesi quando aveva ventotto anni, per sottrarsi allo stile di vita dei propri concittadini di Concord, è un luogo sempre attuale e ricorrente nella trattazione artistica che ne è seguita. Non stupisce quindi che Dacia Manto (Milano, 1973), che si ispira a Thoreau e che già nel 2008, a Ravenna, gli aveva dedicato una installazione e una performance, abbia voluto, in un certo qual modo, ricrearlo a Milano, alla galleria Red Lab diretta da Lucia Pezzulla. Entrati ci si trova in una piccola stanza in cui alle pareti scure sono appesi i lavori realizzati dall’artista su vari materiali, con diverse tecniche e di differenti dimensioni. Sedendovi sulla panca posta al centro della stanza, vi troverete immersi in un bosco da cui potrete osservare non immagini separate ma un panorama unico e coerente, formato da una ricca e fitta vegetazione in cui vivono animali e in cui in lontananza scorgiamo un lago e talvolta intravediamo una figura umana. Avvertiamo un senso di pace, di tranquillità, il luogo non ci spaventa, ci troviamo in quella che l’artista definisce “una tana, uno spazio chiuso e sicuro” ma anche un caleidoscopio della natura. La mostra si intitola Nebulosa 11, beside Walden e prende il nome da Nebula, la lupa dell’artista morta da poco.

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Le lucciole di Pasolini rischiarano ancora il nostro cammino

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Pier Paolo Pasolini alla Borgata del Quarticciolo – 1960

All’inizio di ottobre, avevo visitato due mostre: quella di Cristóbal Gracia (Città del Messico 1987), intitolata “Lucciole nella terza natura” alla Galleria Viasaterna e “Cittadini” di Paola Di Bello (Napoli 1961) alla Galleria Bianconi. In quest’ultima esposizione, di cui ho già parlato il 5 ottobre e in cui quasi tutte le opere raffiguravano essere umani o la loro attività, mi aveva incuriosito la presenza di due opere (apparentemente fuori tema ma di questo parlerò prossimamente), chiamate “Lucciole” che erano state ottenute facendo camminare alcune di queste su della carta fotosensibile. Si dice che due indizi sono una coincidenza ma il comunicato della mostra di Gracia conteneva un riferimento ad un saggio del 2009 dello storico dell’arte G.D. Huberman, “Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze”, a commento dell’Articolo delle Lucciole, pubblicato da Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera del 1 febbraio 1975. A questo punto gli indizi erano più che sufficienti a provare che dovevo occuparmi delle lucciole.

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