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Michael Jakob non è un artista ma insegna Lettere comparate all’Università di Grenoble e Storia e Teoria del paesaggio all’Haute école du Paysage, Ingénierie et Architecture di Ginevra, ha scritto numerosi libri ed è curatore di mostre, in cui affronta i temi del paesaggio in una prospettiva molto ampia. Mercoledì 17 maggio ha tenuto, all’Accademia di Brera, nell’ambito del ciclo di conferenze Human Landscape coordinato dal Prof. Roberto Priod, una bellissima lezione dedicata al paesaggio contemporaneo attraverso una serie di opere artistiche che lo hanno collocato nella evoluzione storica della sua rappresentazione e percezione.
Il termine paesaggio è un neologismo che designava qualcosa di nuovo, inizialmente un dipinto portatile che poteva essere trasportato per ricreare un particolare ambiente e poi lo sfondo, un dettaglio naturale di una scena, introdotto in Europa tra il 1300 e il 1400. La sottolineatura dell’area geografica e culturale europea è densa di implicazioni. Secondo Jakob l’unica altra area in cui il concetto avrebbe potuto svilupparsi oltre al nostro contenente era la Cina ma con caratteristiche profondamente diverse perché per noi la pittura era fissa alle pareti, prima con gli affreschi e poi con le tele mentre in Cina le rappresentazioni erano contenute in un rullo e quindi era cinetica. Non si tratta però di un concetto innocente, perché esso implica una volontà di controllo razionale, di dominio. L’evoluzione del paesaggio avviene seguendo quella della tecnologia scandita, nella sua esposizione, in tre fasi. Per tecnologia non bisogna intendere necessariamente l’applicazione di ricerche scientifiche ma piuttosto tutto ciò che ha contribuito materialmente all’evoluzione dello sguardo e di cui fanno parte, per esempio, anche l’introduzione della finestra nei muri delle case che inizialmente serviva ad areare ed illuminare gli ambienti ma che poi diviene sempre più possibilità di osservazione all’esterno o la panchina collocata in un giardino, a cui Jakob ha dedicato il volume Sulla panchina. Percorsi dello sguardo nei giardini e nell’arte (Einaudi 2014).
Per 600 anni il paesaggio è dipinto. Il primo esempio è quello contenuto nel ciclo di affreschi Effetti del Buon Governo in Città e in Campagna di Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) del 1338-1339 in cui abbiamo una descrizione della vita dell’urbe e poi del contado. Nel ‘400 invece un dipinto di Jan Van Eyck (1390-1441), La Madonna del cancelliere Rolin, 1435 ca, in cui all’interno del balcone che si trova alle spalle dei due personaggi principali in atteggiamento religioso e da cui si ammira la veduta di una città fluviale perfettamente descritta, si notano due nani che si sporgono da un’apertura del muretto di cinta per osservarla, introduce un nuovo significato di paesaggio come ciò che è extra muros, fuori dalle mura.
Nel 1500 la Battaglia di Alessandro e Dario a Isso di Albrecht Altdorfer (1480-1538), opera del 1529 e il San Francesco in estasi di Giovanni Bellini (1430-1516), del 1490 introducono, secondo Jakob, il concetto di paesaggio come medium meteorologico e sentimentale.
Si arriva al 1600 in cui la Veduta di Delft di Jan Vermeer (1632-1675) del 1660-1661 introduce il concetto di paesaggio urbano testimonianza della domanda di soggetti paesaggistici in Olanda collegata allo sviluppo dei mezzi della visione come occhiali e cannocchiali.
Con Jacob van Ruisdael (1628/29-1682) gli esseri umani si scorgono appena nell’immensità del paesaggio rappresentato, offrendoci una riflessione sull’esistenza umana, come si può osservare nell’opera Strada attraverso un bosco (non mostrata da Jakob) del 1660.
Claude Lorrain (1600-1682) rende protagonisti gli alberi come in L’alba del 1646-1647 (non mostrata da Jakob) e crea lo stile pittoresco, secondo cui da allora sarà la natura intesa come arte dei giardini a imitare l’arte.
Caspar Freidrich (1774-1840) ci rappresenta l’anelito del cittadino urbano, i suoi personaggi anche se in cima a un cocuzzolo vestono gli abiti di città, verso gli spazi liberi e la natura, con lo sguardo rivolto verso quello che anche noi guardiamo nella tela.
Con Claude Monet (1840-1926), non quello del primo periodo impressionista ma quello che dipinge continuamente il Ponte Giapponese della villa di Giverny si arriva, secondo Jakob alla morte del paesaggio che non è più ordinato secondo un sopra-sotto, un avanti-dietro, un destra-sinistra, e non più dipinto in senso mimetico ma artistico, e lo stesso avviene con Cezanne e Mondrian.
Con la seconda fase tecnologica, rappresentata dallo sviluppo della foto analogica e illustrata da una foto di Luigi Ghirri, Alpe di Siusi del 1979, il paesaggio si sposta nella coscienza dell’osservatore, con una visione fenomenologica, ma soprattutto diventa un momento che può sparire nel momento successivo.
Infine, con lo sviluppo dei telefonini stiamo imparando un nuovo modo di guardare il paesaggio ma come lo stesso Jakob scrive nell’articolo Mappe e territorio/Dell’invisibile pubblicato su Doppio Zero, “In un regime mentale dove tutto può essere rappresentato in qualsiasi momento in modo numerico, mancano i mezzi per mettere in moto l’immaginazione. Spesso il digitale assorbe il mondo, lo prosciuga.”
The contemporary landscape according to Michael Jakob
Michael Jakob is not an artist but teaches Comparative Letters at the University of Grenoble and History and Theory of the Landscape at the Haute école du Paysage, Ingénierie et Architecture in Geneva, he has written numerous books and is curator of exhibitions, in which he addresses the themes of landscape in a very broad perspective. On Wednesday 17 May he held, at the Brera Academy, as part of the cycle of conferences Human Landscape coordinated by Prof. Roberto Priod, a beautiful lesson dedicated to the contemporary landscape through a series of artistic works that have placed it in the historical evolution of its perception and representation.
Tantissimi Complimenti, è spiegato in modo analitico tutto questo accattivante,intrigante ed interessante “work in progress” sul concetto di paesaggio attraverso la,storia ed il tempo . Cordiali saluti .