Si fa presto a dire plastic free ma poi…


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Plastic Bag Jelly Fish – Foto di U+1F360 -Creative Commons – 2018

Nella Città Vegetale l’uso della plastica sarà certamente ridotto anche se sarà impossibile farne a meno per molte applicazioni.

La UE ha approvato la direttiva SUP (Single Use Plastics) che vuole impedire l’impiego delle plastiche mono uso non biodegradabili di origine fossile. Le immagini degli uccelli e dei pesci pieni di plastiche e delle isole di plastica che si sono formate negli oceani hanno fatto il giro del mondo. Queste plastiche hanno forti conseguenze sull’ecosistema marino e pertanto è necessario porre un freno al loro utilizzo.

Una gran parte di queste plastiche monouso è utilizzata in ambito alimentare per il confezionamento dell’acqua minerale e di altre bevande e dei prodotti alimentari freddi venduti nella distribuzione organizzata; il consumo dei pasti nei servizi di ristorazione collettiva soprattutto scolastica e per i servizi di ristorazione commerciale veloce su strada e naturalmente per l’imballaggio secondario e terziario dei prodotti.

Gli Stati europei devono recepire quanto stabilito dalla SUP e avviare la messa fuori commercio di questi prodotti.

Ma, ci sono dei ma. Secondo alcuni l’impiego delle plastiche biocompostabili (PLA a base di acido polilattico, Mater-Bi a base di mais, Polpa di cellulosa) incontra dei limiti nella disponibilità della materia prima necessaria. In effetti oggi la produzione di queste molecole non è immediatamente espandibile. Ad esempio, per il PLA, utilizzato per le bottiglie e i bicchieri,il mercato è rifornito in gran parte dalla NatureWorks che però fatica ad assicurare la risposta a tutte le richieste e potrebbe anche decidere di non soddisfarne, lasciando ad esempio gli imbottigliatori di acque minerali all’asciutto. Gli imprenditori del settore acque minerali cercano di correre ai ripari schierandosi per l’introduzione del deposito per le bottiglie in PET ma è un po’ tardi. Questa proposta poteva andare bene qualche anno fa ma oggi, probabilmente, si è andati troppo oltre e un deposito troppo basso non è sufficiente per incentivare alla riconsegna della confezione.

Nei servizi di ristorazione collettiva scolastica il passaggio dalla plastica monouso a un coperto biocompostabile, per esempio in mater-bi, avrebbe l’effetto di un aumento dei costi che si scaricherebbe sui comuni che offrono il servizio dato che le società di ristorazione non sono disponibili ad accollarsi il maggior costo. In questo settore i produttori di coperti in plastica monouso, sfruttando il comma 802 della finanziaria 2018, propongono di realizzare, assieme alle imprese produttrici di coperti monouso dei percorsi chiusi, in cui i coperti in plastica siano recuperati e avviati al riciclo dalle stesse società fornitrici.

Per quanto riguarda invece i contenitori per alimenti freddi venduti dalla GDO o impiegati dalla ristorazione commerciale veloce vale sia un discorso di disponibilità della materia prima ma anche di adeguamento degli impianti. Non è possibile che un produttore passi dalla produzione di un contenitore che ha uno spessore di un certo tipo a un altro molto più sottile o più spesso con un adeguamento immediato. Inoltre, alcuni materiali biocompostabili non danno ancora garanzia adeguate di tenuta per la shelf life dei prodotti.

In conclusione per il momento lo slogan plastic free si rivela un po’ più difficile da realizzare di quanto non sembri a parole e forse dovrebbe essere rivisto in plastic less e andare in direzione del reusable come sperimentato già in alcune città degli Stati Uniti e a Amsterdam che hanno lanciato alcuni programmi.

Ma quella che è in atto sembra una vera e propria disruption. Ha ancora senso vendere acqua in bottiglie di plastica anche bio oppure servirsi di confezioni monouso? Lo spirito di Greta Thunberg ci spinge a ripensare tutto.


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