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L’Orto Botanico di Padova, primo orto botanico al mondo, istituito nel 1545, patrimonio dell’Unesco e luogo di enorme pace e bellezza ospita, fino al 6 gennaio 2020, l’esposizione “Seconda Natura” dell’artista italiano Quayola (1982).
Essa si compone essenzialmente di due opere molto diverse tra loro. Remains (Resti), un polittico di sette pannelli, raffiguranti uno scorcio della Foresta della Vallée de Joux, rilevato attraverso un sistema di laser e poi restituito, sotto forma di punti, con stampe ad altissima risoluzione. Jardins d’Été (Giardini estivi), un video immersivo di 45’, in cui piante e fiori dei giardini del castello di Chamont sur Loire, sono trasformati per mezzo di un software che compone e scompone le immagini in movimento, creando degli effetti di grande bellezza cromatica che fanno pensare a quadri impressionisti. L’intento dell’autore è di mettere in evidenza come la tecnologia è in grado di riprodurre la natura ma che essa procede autonomamente con una forma creativa semiautonoma, quindi dando luogo a una Seconda Natura.
L’intento è senza dubbio audace, dato che l’artista deve confrontarsi con un luogo, come l’Orto Botanico, in cui la Prima Natura dà grande prova di sé stessa. Qui si trovano numerose piante centenarie. La Palma di san Pietro detta di Goethe, messa a dimora nel 1585; un Platano Orientale del 1680 con un grande tronco cavo; un Gingko Biloba del 1750 e il primo esemplare di Cedro dell’Himalaya, importato in Italia nel 1828, solo per citare le più importanti. Piante di fronte alle quali si resta in ammirazione come di fronte a un’opera d’arte.
Inoltre, in una giornata autunnale piena di sole, i colori sono particolarmente vivaci e amplificano la bellezza delle varie parti dell’Orto ed è inevitabile che passando dagli ambienti poco illuminati della mostra alla luminosità del giardino, il confronto sia continuo e metta in risalto le differenze esistenti.
Questa Seconda Natura si trova, infatti, tutta al chiuso e anche al buio (dato che altrimenti il video non sarebbe visibile.), cioè il contrario della Prima Natura che invece è per sua definizione, luogo aperto e in cui la luce ha un ruolo fondamentale. Ci sembra, inoltre, che non esista una qualche fungibilità tra queste due nature e che questa Seconda Natura non possa essere impiegata a fianco e in sostituzione della Prima, così come gli automi, invece, possono essere immaginati, in taluni casi, al posto degli esseri umani.
Eppure, in questi passaggi tra i vari ambienti, le immagini delle opere di Quayola iniziano a sovrapporsi a quelle degli alberi dell’Orto e a quelle di tutti gli alberi e tutti i giardini che abbiamo visto nella nostra vita. La matrice tecnologica non ne fa “altro” ma anzi esse mantengono ben chiara la loro provenienza dal mondo vegetale. Certo si pone il problema della durata di questa Seconda Natura ma questo è discorso che riguarda tutta l’arte digitale.
Nell’Orto si incontra poi un altro albero. Si tratta di un’opera dell’arch. Michele De Lucchi dedicata alla rievocazione degli effetti della Tempesta Vaia, intitolata Radici al vento e testa nella terra, a simboleggiare la posizione delle piante cadute. L’albero è stato ottenuto mescolando parti delle diverse specie abbattute: abete rosso, faggio, larice, abete bianco, betulla, tiglio e nocciolo e s’innalza sopra uno specchio d’acqua che rinvia ai mari surriscaldati dal cambiamento climatico.
Anche l’opera di De Lucchi parla quindi di una Seconda Natura, non quella tecnologica e controllabile di Quayola, ma quella che, da sempre, semina morte e distruzione, che ci illudiamo di imbrigliare con la nostra attività contribuendo, in realtà, ad alimentarla.