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Alla galleria Ponte Rosso di Milano è possibile visitare, fino al 24 ottobre, la mostra Ernesto Treccani nel centenario della nascita, in cui sono presentate trenta opere scelte che danno conto dell’intera produzione pittorica dell’artista. L’esposizione è parte di un ciclo di eventi dedicati a questa ricorrenza che avrebbero dovuto svolgersi lo scorso anno ma che erano stati per l’appunto rinviati a quest’anno e di cui fanno parte anche due mostre virtuali visitabili sulla piattaforma digitale www.kunstmatrix.com, rispettivamente la prima fino al 25 ottobre e la seconda dall’8 novembre all’8 dicembre. Per chi, come me, era legato all’idea di un artista dei volti, la rassegna e il catalogo che l’accompagna hanno costituito una piacevolissima sorpresa, dandomi l’opportunità di conoscere aspetti della sua opera che non mi erano noti.
Ernesto Treccani (1920-2009) è il fondatore e rappresentante del realismo in pittura anche se non firmò il manifesto che ne sancì la nascita. A 18 anni fondò la rivista Corrente che dette poi luogo alla Bottega Corrente attorno a cui si ritrovarono artisti e intellettuali in opposizione al fascismo. Come ebbe occasione di dichiarare in un’intervista: “non sono diventato pittore per particolari attitudini al disegno o all’espressione artistica. Solo la vita e il bisogno di crescere mi hanno portato via via ad acquisire i mezzi necessari per esprimermi artisticamente”. E ancora: “Posso dire di essere diventato comunista più che per i libri per il mio bisogno di stare con la gente, con i contadini, con gli operai, gli antifascisti. Una scelta quindi la mia dovuta non tanto a un’ideologia ma al bisogno di essere uomo tra gli uomini”. In particolare, dopo le prime composizioni realistiche legate a soggetti diversi, la sua espressione artistica ha una svolta alla fine degli anni Quaranta quando, in Calabria, nel corso di una manifestazione per l’occupazione delle terre, tre giovani abitanti del comune di Melissa furono uccisi e molti altri feriti. Treccani non partecipa solo con il proprio cordoglio ma va sul posto a dare il proprio sostegno e vi tornerà poi ogni anno dando luogo a un ciclo di opere in cui celebrerà non solo la miseria di quella terra ma anche l’orgoglio e la presa di coscienza degli abitanti del posto, che lo qualificheranno come artista militante. Verso la fine degli anni Cinquanta la sua pittura si avvia a celebrare la natura con il ciclo delle siepi che per me ha costituito un’autentica sorpresa e con altri dipinti in cui il tema vegetale conquista spazio nella sua opera. Negli anni Settanta poi prenderà inizio il suo ciclo dei volti che culmina nel suo Un popolo di volti (1969-1975).
Intenzione di questo breve scritto non è però di dare conto dell’intera e intensissima attività artistica di Treccani quanto piuttosto di concentrarsi proprio su questi dipinti dedicati alle siepi che allora, credo, dovettero certamente rappresentare una sorpresa rispetto alle opere impegnate del periodo precedente. Tutte le volte che un artista modifica i temi della sua opera egli desta sorpresa e per qualcuno anche scandalo e costringe coloro che avevano trovato una chiave interpretativa a doverla riformulare e a dover inserire queste nuove opere in una spiegazione che sembrava compiuta. Nel caso di Treccani il rinnovamento di poetica segnala una fase nuova, temi che riemergono e che certamente completano la verità esistenziale dell’artista: ”I ricordi della mia infanzia stanno tra gli alberi di un grande giardino lombardo. Intorno vi era una lunga cinta di un muro dietro al quale si svolgeva la vita che non conoscevo. Il vocio e lo zoccolare che si ripeteva più volte in un giorno quando dalle ciminiere della tessitura suonava la sirena per chiamare al lavoro o dare il segnale del riposo”. Nel catalogo della mostra, un saggio della figlia dell’artista, Maddalena Muzio Treccani, accosta il tema delle siepi a una tematica leopardiana secondo cui il muro che circondava la casa dell’infanzia costituirebbe la siepe, il limite oltre il quale vuole spingersi lo sguardo dell’artista, verso “il mondo degli operai e delle fabbriche, la vita, il lavoro, i volti e le lotte dei contadini del Sud”, come dice nella sua riflessione. Questa interpretazione ha certamente spazio e ragione ma allora il tema delle siepi e del vegetale rappresentano un ritorno al giardino, al di qua del muro e a una realtà più tranquilla, a un momento dell’infanzia lontano, a un luogo sicuro, dopo un decennio di eventi che era stato dal punto di vista politico e sociale esaltante ma anche pieno di fatti che avevano squassato la vita del movimento operaio se solo pensiamo alla morte di Stalin e alla rivolta ungherese del 1956. La frase di Treccani “Vorrei che un giorno si potesse dire del mio lavoro: era in un tempo che andava verso la felicità malgrado le nubi e i flagelli. Di questi aveva coscienza, eppure ha dipinto un giardino splendente. Soltanto chi ha il cuore aperto alle sofferenze del mondo, chi conosce il significato di sfruttamento e servitù, chi risponde con la lotta, può spirarne a esprimere la bellezza”.
Del resto, Treccani non è l’unico artista a dipingere siepi in quel periodo. Un altro artista, Ampelio Tettamanti (1914-1961), di cui ho già parlato qui, legato agli ambienti del realismo milanese che si ritrovava attorno alla galleria Borgonovo 15 e certamente accostabile a lui per i temi trattati: le periferie, le fabbriche, il lavoro contadino e l’impegno politico militante dipinge, proprio in quegli anni, lo stesso soggetto. Sono siepi diverse; quelle di Treccani sono piene di fiori, di colori, di farfalle e sembrano a me, contenitori di vita, celebrando la natura in tutta la sua bellezza; quelle di Tettamanti Grovigli (Tettamanti chiamava questi quadri Boschi e successivamente ridenominati in questo modo da Elena Pontiggia) intrecci inestricabili di arbusti, rami, quasi senza foglie. Pare che ambedue gli artisti, dopo un decennio di opere destinate all’impegno politico e sociale, proprio nello stesso periodo sentano il bisogno di riaccostarsi alla natura anche se con valenze e sensibilità diverse.
Nella fase in cui Ernesto Treccani giunge a dipingere siepi e a ricongiungersi con un pezzo della sua infanzia, John Berger, il noto critico dell’arte, pittore e scrittore, pubblica il suo primo romanzo Ritratto di un pittore (1958 – tradotto in italiano da Luciano Bianciardi), diario immaginario, dal 1952 al 1956, di un artista ungherese riparato a Londra. Nel libro egli fa dire al protagonista Janos Lanvin una frase che può illuminare la scelta di Treccani e che si avvicina al suo pensiero: “L’artista moderno combatte per contribuire alla felicità umana, alla verità, alla giustizia, lavora per migliorare il mondo” e ancora, “Un’opera d’arte non è il risultato di una serie di conquiste. È invece il risultato di qualcosa che è assai più difficile, trovare una strada diretta, logica, sicura in una campagna cosparsa di macigni, barriere, ostacoli di ogni genere pensabile. L’artista deve fare in modo che il labirinto sembri un’autostrada”.
Abstract
At the Ponte Rosso gallery in Milan, it is possible to visit, until 24 October, the exhibition Ernesto Treccani in the centenary of his birth, in which thirty selected works are presented that give account of the entire pictorial production of the artist. The exhibition is part of a series of events dedicated to this anniversary postponed to this year due to the pandemic and includes two virtual exhibitions that can be visited on the digital platform www.kunstmatrix.com, the first until 25 October and the second from 8 November to 8 December, respectively. For those who, like me, were linked to the idea of an artist of faces, the exhibition and the catalogue that accompanied it were a pleasant surprise, giving me the opportunity to know aspects of his work of which I was not aware.