L’economadismo di Paolo Peng Shuai


(Tempo di lettura 5 minuti)
Paolo Peng Shaui – Jiaobei (oggetto rituale), radice di arundo, 3cm x 7cm x 3cm

Paolo Peng Shuai è un giovane artista multidisciplinare nato in Cina a Xiangtan nel 1995 e giunto in Italia nel 2004 per raggiungere la sua famiglia. Il suo lavoro si inserisce in un’area di ricerca definita come Economadismo che non va inteso in senso geografico, come spostamento da uno stato all’altro né come un nomadismo sostenibile, ma come lo studio delle condizioni ambientali e quindi culturali, antropologiche e psicologiche dello stato nomade del soggetto umano considerato “in transito da una dimensione unitaria, omogenea e controllabile a una fluida, in evoluzione e ibrida”, come messo a fuoco dalla filosofa italiana naturalizzata australiana Rosi Braidotti (1954). Idealmente egli si colloca sulle tracce dei suoi artisti preferiti: la coreana Kimsooja (1957) e i cinesi Huang Yongping (1954-2019) e Chen Zhen (1955-2000). Per affrontare questa tematica Paolo Peng Shuai si riferisce al mondo dei vegetali cinesi, simbolo della identità del suo paese natale.

La sua educazione artistica è stata precoce e severa. A sette anni la sua maestra nota il disegno di un dragone e lo segnala alla famiglia che lo invia in una bottega d’arte, gestita da un maestro diplomato, che frequenterà per tre ore al giorno per due anni studiando i fondamentali: ombre, luce, colore, prospettiva. Giunto in Italia studia pittura ad olio con una docente dell’accademia. Frequenta poi il liceo artistico Paolo Toschi a Parma e poi a Milano l’Accademia di Brera dove studierà in particolare con Ignazio Gadaleta (1958), l’inventore dei punti pittura e con l’artista concettuale Maurizio Arcangeli (1959). Si laurea con una tesi dal titolo Terra di mezzo, proposte e risposte dell’arte alla crisi identitaria in epoca globale, in cui preannuncia il suo impegno futuro.

Quando gli ho chiesto cosa gli mancasse di più della sua patria di origine mi ha risposto, sorprendendomi, “il sapore del cibo”. In Cina, infatti, ci sono otto cucine che sono a base di spezie e quella della sua regione, lo Hunan prevede piccante, coriandolo, cipolline. Il cibo, come sappiamo, riveste un ruolo particolarmente importante per tutti gli immigrati che spesso infilano nei loro bagagli o si cuciono addosso i semi delle piante di cui si nutrono. Il progetto di ricerca Nutrire la città che cambia, sviluppato dal 2012 al 2015, dedicato all’alimentazione dei cittadini extra comunitari, aveva evidenziato la varietà di vegetali esotici che venivano non solo importati ma coltivati in Italia e il ruolo che gli imprenditori agricoli, in particolare cinesi, avevano nella coltivazione e nella commercializzazione dei vegetali necessari per la loro alimentazione tradizionale, attraverso i mercati generali della Lombardia. La sensibilità del nostro artista è giustificata inoltre dalla tradizione familiare in cui il padre era un cuoco che gestiva due ristoranti in Cina e aveva continuato l’attività in Germania mentre, una volta giunto in Italia a Reggio Emilia, si era invece dedicato alla coltivazione del coriandolo, degli spinaci d’acqua e del sedano cinese. Non sempre però questa esigenza di poter avere disponibili i cibi della propria tradizione viene riconosciuta lecita. A Prato, mi racconta Peng, dove pure la comunità cinese è molto rappresentata, la coltivazione di ortaggi per autoconsumo è stata contestata da alcuni cittadini con il pretesto che si trattasse di vegetali mostruosi, coltivati su terre pericolose, giungendo addirittura alla chiusura di più di uno di questi orti.

Paolo Peng Shuai durante la sua performance Instinctive Reaction

Per entrare, adesso, nella rappresentazione artistica delle tematiche identitarie collegate al cibo e affrontate dal nostro artista credo che la performance Instinctive reaction possa essere considerata emblematica. Per esprimere la situazione in cui si trova chi effettua il tentativo di assimilare un’altra cultura Peng, seduto su una sedia, inizia a mangiare delle banane ma giunto alla settima purtroppo è preso da conati di vomito e deve interrompere la prova. Le banane con la loro buccia gialla, che rappresenta il colore della pelle nell’immaginario cinese e la loro polpa bianca, simbolo invece della cultura occidentale, esprimono lo stato dell’artista mai abbastanza cinese né italiano per il quale la prova di assimilare l’altra cultura è una violenza verso sé stessi che può dare luogo a fenomeni di rifiuto e rigurgito. Quando l’artista si alza, resta la sedia sulla quale sono stati riportati una serie di epiteti e insulti che esprimono i luoghi comuni a cui spesso occorre soggiacere, da parte dei connazionali e degli ospitanti, nel momento in cui si tenta di muoversi tra le due culture. Per questo Peng, dopo uno spaesamento dovuto alla difficoltà di collocarsi con la comunità cinese o italiana, come punto di partenza della sua riflessione, ha deciso di assumere una condizione di ibrido, analoga a quella che si verifica per alcuni vegetali, definendosi semplicemente Umano, consapevole che la fioritura umana, come direbbe lo psicanalista Vittorio Lingiardi (1960) nel suo libro Mindscapes (Raffaello Cortina Editore, 2012), citando un pensiero del filosofo Jean Bernard Pontalis (1924-2013), “può venire solo dai molti paesaggi che si hanno dentro”.

  • Paolo Peng Shuai - Nonno e cugino (Reggio Emilia) - olio su cartongesso - 2022 - cm 31x41

Peng, che ha già al suo attivo alcune personali, di cui l’ultima, Geneulogia, alla galleria Atelier di Roma e che esporrà invece dal 7 settembre al 20 ottobre prossimi nella collettiva Noocene a cura di Silvia Vannacci, al Palazzo Binelli di Carrara, svolge il suo lavoro con diversi mezzi: coltivando il sedano cinese, lo Shui Qin, a Pieve Porto Morone (PV) vicino al Po, raccogliendo vegetali nel corso dei suoi spostamenti, che poi porta in studio per osservarli e rielaborare creativamente. Le piante continuano ad essere fonte di ispirazione perché i semi, portati dal vento e dall’uomo, si spostano nel mondo in un processo di adattamento e attecchimento spontaneo.

  • Paolo Peng Shuai - Still frame del video Shui Qin - digital video - durata 6’19’’ - 2023

Nell’essere umano però, al corredo genetico, a differenza dei vegetali, si sommano la cultura familiare e collettiva che ne fanno un individuo unico. Peng mi racconta che il nonno, artigiano del legno e del ferro, era uno sciamano mentre una sua trisavola era una stregona, quindi figure a contatto con il mito e una cultura popolare trasmessa oralmente e da considerare possibili antidoti contro il disagio che proviamo. Il nomadismo non è più geografico ma è conseguenza della forza con cui siamo strappati dalle nostre radici culturali, per essere gettati secondo C.G. Jung (1875-1961) in Ricordi, sogni, riflessioni (BUR, 1993): “nella fiumana di un progresso che ci proietta verso il futuro con una violenza tanto maggiore quanto ci strappa dalle nostre radici…Quanto meno capiamo che cosa cercavano i nostri padri e i nostri antenati, tanto meno capiamo noi stessi …”. Il passaggio da Oriente a Occidente, del resto, coincide con l’inversione di quella che chiamiamo freccia del tempo, cioè la direzione, da ovest verso est e dall’Europa verso i paesi orientali, in cui pensavamo fluisse la cultura, la scienza, la civiltà. Non solo non è mai stato così, come messo in chiaro da Bruno Latour (1947-2022) nel suo libro Non siamo mai stati moderni (Eleuthera, 2015), ma certamente non è così ora, quando la freccia del tempo ha cambiato non solo la traiettoria ma anche il suo punto di partenza e oggi si muove da Oriente a Occidente e dalla Cina verso l’Europa.

Difficile e avvincente quindi il discorso di Peng che fotografa il nomadismo culturale, antropologico e psicologico di noi postmoderni in cerca di un nuovo porto d’arrivo, un postumanesimo di cui non conosciamo ancora le caratteristiche..

The Economadism of Paolo Peng Shuai

Paolo Peng Shuai is a young multidisciplinary artist born in China in Xiangtan in 1995 and arrived in Italy in 2004. His work is part of an area of research defined as Economadism understood as the study of environmental conditions and therefore cultural, anthropological and psychological nomadic state of the human subject considered “in transit from a unitary dimension, homogenous and controllable to a fluid one, in evolution and hybrid”, as focused by the Italian philosopher naturalized Australian Rosi Braidotti (1954). To address this issue, Paolo Peng Shuai refers to the world of Chinese plants, symbol of the identity of his native country.


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