Come pensano le foreste. L’antropologia oltre l’umano di Edoardo Kohn riguarda anche l’arte ambientale


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Foto tratta dal libro “Come pensano le foreste” di Eduardo Kohn

A fine giugno, l’editore Nottetempo ha pubblicato “Come pensano le foreste”, un libro dell’antropologo canadese Eduardo Kohn, apparso per la prima volta nel 2013. L’autore, con lontane origini italiane che hanno un peso nella storia di questo volume e di cui dirò alla fine, vi ha raccolto il risultato di quattro anni di lavoro in Ecuador tra le popolazioni Runa che vivono nelle foreste dell’Alta Amazzonia attorno ad Avila. Il libro, avvincente e complesso, ha avuto una notevole eco ed è considerato una pietra miliare nello sviluppo e nella rifondazione dell’antropologia culturale all’interno di un filone più ampio che comprende anche Philippe Descola, Anne Tsing di cui ho parlato qui e altri, ponendo l’accento non sulla relazione tra l’uomo e l’ambiente ma sul più ampio ecosistema in cui gli esseri viventi convivono, nel caso particolare la foresta amazzonica. Il titolo, certamente affascinante, vuole proprio sottolineare come gli esseri che la abitano condividono una modalità di pensiero comune. I suoi contenuti riguardano tutti noi e Kohn ha immaginato il suo lavoro come una sorta di diplomazia cosmica, cioè giungendo a “una cornice concettuale in cui i diversi attori – e io dico anche gli artisti – possono comprendere i loro mondi in modo nuovo”.

Gli esseri cui Khon si riferisce sono in primo luogo gli animali e tra loro quelli con cui competere per il cibo e di cui possiamo essere prede. Parlando di loro va oltre quanto affermato da John Berger nel suo saggio “Perché guardiamo gli animali?”, secondo cui la mancanza di un linguaggio comune avrebbe garantito la loro distanza, la loro diversità e la loro esclusione dall’uomo. Juaniku, invece, la guida Runa che porta a caccia Kohn, lo mette in guardia: “Dormi a faccia in su! Se arriva il giaguaro, vedrà che anche tu puoi guardarlo negli occhi e non ti disturberà. Se dormi a faccia in giù penserà che sei aycha (preda-carne) e attaccherà”. Per l’autore il modo in cui gli altri generi di esseri ci vedono è importante (e questo lo riconosceva anche Berger) ma, è qui sta la differenza, ciò vuol dire che: “vedere, rappresentare e forse conoscere o persino pensare, non sono questioni esclusivamente umane” e quindi “ quello che condividiamo con i giaguari e gli altri sé viventi (cioè capaci di rappresentazione della realtà nda)-siano essi batterici, floreali, fungini o animali – è il fatto che il modo in cui ci rappresentiamo il mondo circostante è, in una maniera o nell’altra, costitutivo del nostro essere”. “Ciò che condividiamo con le creature viventi non umane non è la corporeità, …ma il fatto che viviamo tutti con e attraverso i segni”. Del resto nella foresta amazzonica esiste una compenetrazione tra gli esseri umani e animali e un’assunzione di ruoli animali da parte umana. L’uomo a volte diviene giaguaro, figura diffusa nel racconto di molte popolazioni e di cui ho parlato a proposito del lavoro di Luciano Mello Witkowski.

Per sostenere la sua tesi, Kohn fa ricorso al lavoro del filosofo, matematico e semiologo Charles Sanders Peirce (1839-1914), secondo cui la rappresentazione della realtà e la comunicazione si svolgono attraverso segni, di tipo iconico, indicale e simbolico (questi sono una modalità tipicamente umana), rendendo la vita un processo essenzialmente semiotico. Kohn, osservando il comportamento di Lucio e suo figlio nella caccia alle scimmie e i segnali inviati per stanarle, provocando rumore con la caduta di una palma o strattonando delle liane a cui seguono le risposte dei primati, oppure quello di Juaniku quando pianifica la cattura delle formiche tagliafoglie (Atta Fabricius), prevedendo il momento in cui usciranno dai nidi e voleranno per accoppiarsi, grazie ai segnali che i diversi partecipanti alla catena alimentare inviano, osserva che la significanza non è territorio esclusivo degli esseri umani e che “la rappresentazione esiste nel mondo al di là delle menti umane e del loro significato”. Le foreste sono un’ecologia di sé, in cui i diversi viventi interpretano i segni degli altri.

  • Foto tratta dal libro "Come pensano le foreste" di Eduardo Kohn
  • Copertina del libro "Come pensano le foreste"
  • L'antropologo Eduardo Kohn

L’antropologia oltre l’umano di cui parla Kohn ci aiuta a definire meglio e a individuare un concetto di fondamentale importanza, quello del Noi. Proprio perché la rappresentazione del mondo appartiene a tutti i viventi e ognuno di essi è un sé perché dotato di capacità di rappresentazione, tutta la foresta è un Noi, cioè un sé distribuito tra molti corpi, che eccede “i limiti dei corpi individuali, della specie e persino dell’esistenza concreta, riesce a estendersi al di là del presente, questo noi… è un tutto aperto”.

Ma se il pensiero di Kohn costituisce una nuova cornice concettuale, che conseguenze può avere sull’arte ambientale, cioè su quell’insieme di pratiche artistiche che pongono al centro la criticità della relazione degli esseri umani con l’ambiente e la natura e la necessità di prendersene cura? Nonostante arte e antropologia possano apparire lontane la loro relazione è stata al centro della riflessione di artisti e antropologi. Il critico Nicolas Bourriaud nel suo libro Inclusioni. Estetica del Capitalocene (sulla definizione di capitalocene un mio articolo), sostiene la figura dell’artista come “antropologo molecolare” perché, se in questa era “cose ed esseri tendono a fondersi”, annullate e confuse dal valore monetario, l’artista deve estrarre le componenti chimico fisiche e valorizzare la componente unica di ciascun essere e ciascun oggetto in un progetto di “studio degli effetti, delle tracce e delle impronte umane e l’interazione di questi con i non umani.” Nonostante Kohn non si confronti direttamente con questa problematica credo che la sua antropologia oltre l’umano, possa costituire uno spunto di riflessione interessante perché sposta l’attenzione ai segnali e ai segni che pervengono dagli altri esseri viventi che invece l’artista dovrebbe collegare, assorbire e restituire. Metaforicamente l’artista deve essere nella foresta e scoprire come la foresta pensa e comprendere come gli esseri che la formano interagiscono essendo parte di loro. Per poterci aprire ai pensieri della selva, silvestri o selvaggi, Kohn ci invita a superare i limiti del pensiero simbolico e a pensare per immagini: “oniriche, uditive, aneddotiche, mitiche e fotografiche” che è il modo di pensare delle foreste, sostituendo questo alla logica duale, alla separazione tra pensiero e materia, tra mano destra e sinistra, la mano in cui abbiamo relegato il regno degli altri, dei non umani. In apertura del suo libro, inoltre, parlando di come entrare in connessione con il mondo della foresta per mezzo dei sogni e delle camminate all’interno di essa, il leader del popolo Sapara Ushigua in colloquio con Kohn afferma: “Ci si connette con la foresta attraverso i sogni.” Certo dice Kohn, le foreste tropicali amazzoniche sono uniche nel rappresentare questa densità di esseri ma “tutti viviamo circondati da foreste e tutti siamo in fondo selvatici”.

Da ultimo, un’opera del genere non avrebbe potuto essere concepita, come lui stesso riconosce, senza i suoi illustri antenati. I nonni, Alberto e Costanza Di Capua, lui chimico farmaceutico e lei, divenuta archeologa e antropologa, erano ebrei italiani, rifugiatisi a Quito. La nonna, a cui il libro è dedicato, insisteva perché lui le leggesse brani della Divina Commedia e non è un caso che in esergo dell’introduzione al libro egli abbia collocato le parole di Dante Alighieri “Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte”. La Divina Commedia era un viaggio in una foresta che pensa attraverso i suoi morti, il suo quello in una selva di viventi anche se non soltanto umani.

Abstract

The book by the Canadian anthropologist Eduardo Kohn “How forests think”, published in late June by the publisher Nottetempo, collects the result of four years of work in Ecuador among the Runa populations living in the forests of the Upper Amazon. Its conclusion is that all beings who inhabit them, human and not, share a common mode of thought, defining a conceptual framework that can help the different actors, including artists, to understand their worlds in a new way.


2 pensieri riguardo “Come pensano le foreste. L’antropologia oltre l’umano di Edoardo Kohn riguarda anche l’arte ambientale”

  1. Come al solito una presentazione ed un commento ricchi di spunti scientifici, d’arte, etologia, ecologia e tanto ancora che ci arricchiscono e amplificano la nostra soglia di percezione dell’ambiente in cui viviamo, naturalmente leggero’il volume, grazie Fab.

    1. Gentilissima Adelina grazie mille. Il libro è veramente avvincente e tocca tanti ambiti dando spazio a molteplici punti di vista.

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