Quattro visioni dell’oceano e i 50 Mari di Mathieu Lehanneur

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50 Seas 02_Mathieu Lehanneur ©Felipe Ribon (Black Sea – Ukraine – Nota dell’autore)

Quest’anno la Giornata degli Oceani, ricorrente l’8 giugno, si è svolta in concomitanza con la Biennale di Venezia e la Design Week di Milano ed è stata celebrata sia in queste manifestazioni sia in alcuni altri eventi collaterali. Al tempo stesso essa è stata l’occasione per fare il punto sull’oceano e il mare, che qui intendo come sinonimi, come luogo artistico e anche sullo spazio che essi hanno nella trattazione artistica ambientale. Pur essendo deputati alla produzione di ossigeno e di risorse alimentari essi continuano ad essere per noi umani luoghi inospitali, in cui non possiamo vivere e in cui non prevediamo di farlo nei prossimi decenni, mentre stiamo sviluppando il nostro viaggio su Marte, e che anzi sono divenuti minaccianti a causa del rischio dell’innalzamento del loro livello. D’altro canto, l’oceano, come dice la curatrice e storica dell’arte Chus Martinez (1972), è un luogo che racchiude storia e cultura e quindi abilitato ad essere oggetto artistico da vari punti di vista.

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Alla Biennale di Venezia c’è un Giardino della Sapienza

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Uzbekistan Pavilion – installation view – ©gerdastudio

Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi (780 circa – 850 circa) fu un matematico, astronomo e geografo, nato probabilmente nella regione di Corasmia e cresciuto nella città di Khiva, vicino il lago Aral, che oggi sono parte del territorio dell’Uzbekistan. Quando il Califfo al-Ma’mun creò a Baghdad la Casa della saggezza, conosciuta anche come la Grande Libreria di Baghdad, destinata alla raccolta del sapere, egli vi entrò a farne parte. Scrisse il volume al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-jabr wa l-muqābala, che gli valse il titolo di padre dell’algebra (al-jabr) nel quale raccolse le nozioni di calcolo provenienti dalla tradizione indiana e greca, fornendo le modalità di soluzione di problemi di eredità, accordi commerciali, misurazione di terreni, che si verificavano nella vita di tutti i giorni. Il suo nome latinizzato, Algorizmi, divenuto poi Algoritmo, è oggi comunemente impiegato per descrivere un processo che porta, in un numero finito di passi, alla risposta ad una domanda o alla soluzione di un problema. Compilò tavole astronomiche (Zij) che davano informazioni sul calendario, sui movimenti del sole, pianeti, figure dello zodiaco. Infine, coordinò gli studi per la misurazione della circonferenza della Terra e realizzò una versione rivista e corretta della Geografia di Tolomeo.

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La fragilità della vita nei Nidi di Tadashi Kawamata e in Meuble Plus di Yona Friedman

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Tadashi Kawamata – Nests in Milan – Assi di legno – Palazzo di Brera Cortile della Magnolia – 2022 – Foto La Città Vegetale

Fino al 23 luglio, a Milano, sono visibili i Nidi (Nests in Milan) di Tadashi Kawamata (Hokkaido – 1953), cinque installazioni in legno distribuite sulle facciate di altrettanti edifici della città. La più imponente è quella che riveste completamente la galleria Building, che ha organizzato la mostra, in via Monte di Pietà e che si sviluppa anche all’interno per tutti i suoi tre piani. Le altre quattro, di dimensioni meno significative ma comunque suggestive, sono collocate sul retro del Grand Hotel et de Milan, proprio di fronte alla galleria; sull’angolo del centro Congressi Fondazione Cariplo; nel Cortile della Magnolia a Brera e infine, di fronte all’ADI Design Museum dove, in autunno, l’artista giapponese realizzerà un’opera site specific, riutilizzando i materiali impiegati per Nests in Milan. Contemporaneamente, ma solo fino al 17 aprile, nel giardino della Triennale di Milano, è visibile Meuble Plus, del grande architetto Yona Friedman (Budapest 1923 – Parigi 1920), acquisita alla Collezione Permanente di questo ente e che, a mio modo di vedere, si colloca concettualmente sulla stessa lunghezza d’onda dei Nidi di Kawamata.

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Ripartire dal bunker

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Lorenzo Gatti-Trofeo Cornice Bianca-2002-Acrilico su legno e cerniere di ottone-150x80x12-
Foto di Mauro Ghiglione 2020

In un’intervista apparsa il 2 aprile sul Corriere della Sera, l’arch. Renzo Piano ha affermato: “Soffro al pensiero che tutto quello che ho costruito è vuoto”. Purtroppo, non sono solo gli edifici che portano la sua firma ad avere subito questo destino. Sono vuoti anche tutti gli spazi realizzati per ospitare grandi numeri di persone: fiere, università, musei, stadi, assieme agli uffici di grandi e piccole aziende. Le città oggi sono deserte e potrebbero apparire, a un osservatore alieno, le vestigia di una civiltà scomparsa, come le piramidi egizie o incas. Per questo motivo, anche se il presidente della Triennale di Milano l’arch. Stefano Boeri ci ricorda che “è sempre pericoloso affidarsi eccessivamente alla contemporaneità perché si rischia di annebbiare il nostro sguardo”, avvertiamo la necessità di avere risposta a alcune questioni che bussano alla nostra mente.

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